
di TADDEO DI SUESSA
Italia. In questo periodo è dato, ahinoi, assistere ad un proliferare, pressoché incontrollato, di biografie di Dante Alighieri, o solo Dante è meglio. Tanto ormai ci fanno la qualunque.
Nell’ordine, si sono cimentati nell’arduo compito: il giornalista ed editorialista del Corriere della Sera Aldo Cazzullo; lo storico Alessandro Barbero e, last but not least, l’intellettuale di destra Marcello Veneziani. Tutto in una quindicina di giorni, si badi bene.

L’operazione si innesta, e si giustifica, nel troncone delle pubblicazioni “natalizie”. “La gente”, espressione generica ed abusata qui usata con tono volutamente sprezzante, snob e con una punta di nausea pure, tende ad acquistare molto nelle feste specialmente libri dedicati ad argomenti “giusti”, plausibili, ritenuti condivisibili, scolasticamente accolti e, perché no, pure incontestabili.
E’ un po’ la storiella del rock satanico impresentabile in quanto tale e vituperato in TV perché bestiale e corruttore, per poi riproporre sui banchi di scuola e dell’università, anche se mai abbastanza, i versi di Baudelaire o gli Inni a Satana di carducciana memoria, tra le altre cose memorabili dedicate al principe delle tenebre, ex fiduciario dell’Altissimo caduto in disgrazia; o ancora, affidare Nietzsche a qualche sedicente professore/ssa di filosofia con il “Super uomo” al quale finisce per mancare la tuta e il mantello del noto eroe dei fumetti.

Ciò per dire che la plausibilità, italicamente intesa, assume il seguente tono: ciò che è scolastico, nel senso che può schiudere le porte di qualche concorsino, va bene; ciò che può diventare buon argomento di discussione è altrettanto ok, ma sì sbrachiamo…; se cominci a gracchiare di altra roba, fuori dalla discussione in corso allora sei un povero stronzo. E il sommo poeta è stato pure rappato da un tizio apparso pure lui sotto le feste. Chissà dove il sommo avrebbe collocato questa masnada di cercatori di ovvietà, di divulgatori del già divulgato, di cercatori del nulla o di una villa al mare in più.
Forse, sperabilmente almeno, da nessuna parte.
Ma, archiviati codesti intellettuali che si misurano con argomenti assai originali, in modo affatto innovativo, ci si consenta in modo immensamente presuntuoso di perseguire un’ambizione: “relegare” Dante nel ruolo di immenso artista, senza tirargli la rossa tonaca per farci il vestito che a noi più piace. Inoltre, ci si consenta di non ascrivergli solo meriti.
Intanto, leggere il Sommo ricorrendo, come in prosa, alla sospensione dell’incredulità, può essere fuorviante e pericoloso persino.
La Comedìa o Commedia, “divinizzata” da Boccaccio, è frutto di scelte artistiche, e politiche, e non di rivelazioni. Nel senso di un approccio più tecnico anche per i meno avvezzi alla lettura del poema allegorico, irto di chiasmi, metonimìe e tante altre figure retoriche che permeano la stesura delle rime si suggerisce un commento recente e meraviglioso del compianto professor Saverio Bellomo (Curatore: Saverio Bellomo, Stefano Carrai; Editore Einaudi; Collana: Nuova raccolta di classici it. annotati, Anno edizione 2019), dichiaratamente debitore come tutti del lavoro di Giorgio Inglese (Curatore: G. Inglese; Editore: Carocci; Collana: Opere;Anno edizione 2016).

E di Inglese si segnala qui il lavoro serio, rigoroso e nel contempo umile nel senso elevato del termine, “Vita di Dante”, dall’eloquente sottotitolo “Una biografia possibile”.
Gli studiosi citati incidono, rimarranno. I loro lavori non permarranno sugli scaffali e non saranno venduti in offerta “al chilo” come quelli dei citati intellettuali, o di uno Sgarbi o di un Serra qualsiasi. Ma consentitomi anche della Gamberale e ce ne sono a frotte di sedicenti maître a penser a 3×2, o all’etto, con pubblicazioni patinate, inutili e “natalizie”.
Tizi invitati in trasmissioni varie a fare opinione, il cui archetipo è l’oscuro ed inquietante Beppe Convertini, presentato per anni come dovessimo conoscerlo per forza dall’altrettanto inquietante Milo Infante per anni, ai quali fa eco, ed il verso, il meraviglioso e geniale Herbert Ballerina su Quelli che il calcio…

Detto ciò, fatta un po’ di pulizia dai mostruosi “ovvietologi” occupiamoci, molto velocemente, di Dante da una prospettiva poco esplorata, almeno in sede divulgativa: Dante politico e Dante dalla prospettiva della libertà linguistica (degli altri, lui se la prese e fece bene, dagli immensi risultati ottenuti.)
L’opera alla quali si rimanda, per un veloce esame della visione lato sensu “istituzionale” del Sommo è il Monarchia, le numerose edizioni in commercio sono tutte valide al nostro fine. E per il corretto inquadramento della tematica qui si rimanda essenzialmente ad un’opera storica, ovvero Federico II Imperatore di Ernst H. Kantorowicz (traduttore Gianni Pilone Colombo, Editore Garzanti; Collana Gli Elefanti. Storia. Anno edizione 2017).
Nessun dubbio ebbe il grande storico tedesco nel sovrapporre la visione del Dante “politico” a quella dello “Stupor Mundi”, del “Puer Apuliae”, strenuo difensore dell’obbedienza diretta del monarca a Dio e non già al Papa. Ne discende l’autonomia del medesimo rispetto all’autorità dei mondani papi medievali. Dante la pensava allo stesso modo e ciò, unitamente alle allusioni alla magia, spiega la strana assenza di manoscritti a sua firma. Insomma, era un gran “rompipalle” per gli avidi papi dell’epoca, e su di lui pesava anche una non troppo velata accusa di magia. Probabile che su di lui pesasse una “damnatio memoriae” protrattasi molto a lungo e violata dal coevo commentario dell’Ottimo, come dalla stima di Boccaccio.
Sul fronte teologico fu meno rivoluzionario, affidandosi a quel Purgatorio, partorito nel 1274 dal Concilio di Lione, che ha basi assai discutibili e povere. Quel Purgatorio sulla cui nascita (Editore: Einaudi; Collana: Einaudi Tascabili Storia; Anno edizione: 2014) si è soffermato Jacques Le Goff ne “La nascita del Purgatorio”.
Quest’ultimo è frutto dell’esigenza della nuova borghesia medievale di un giudizio divino meno tranciante. Un giudizio che diventerà addirittura commerciabile attraverso il mercimonio delle indulgenze, “il lotto dell’epoca” (“Martin Lutero”, Autore: R. Bainton, Traduttore: A, Comba; Editore: Einaudi; Collana: Piccola Biblioteca Einaudi Big;, Anno edizione: 2013). E qui un’altra parentesi sulla quale ControPotere si soffermerà, sulla genesi del nazionalismo tedesco, sulla quale si dice poco e male.
In sostanza, gente che commercia, presta denaro ad “usura”, non può non essere soggetta ad un giudizio definitivo di morte certa. La Chiesa di quei commerci si nutriva, quando non li faceva Lei stessa e il giudizio di Dio diventa contrattato. E’ da lì che la “cavillosità e il sussiego” italiani (“Martin Lutero”, cfr. infra) diventeranno il germe delle divisioni europee e dei nazionalismi ed è da Federico II che bisognerebbe ripartire per una visione federata tra Italia e Germania. Il sud Italia, si badi bene. Un combinato disposto sul quale nessuna potenza al mondo potrebbe nulla e gli americani lo sanno bene.

Detto ciò, un ultimo cenno alla lingua: l’italiano. Dante lo inventa, lo distilla e lo consegna alle generazioni future.
L’italiano codificato dal cardinale Pietro Bembo con le “Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua” (1525). L’italiano di fatto reso “impermeabile” alle infiltrazioni dialettali. Prova ne sia che Ludovico Ariosto, per essere pubblicato, dovette cambiare la prima stesura dell’Orlando Furioso (vd. Orlando Furioso, Autore L. Ariosto, Curatore: T. Matarrese, M.Praloran; Editore: Einaudi; Collana: Nuova raccolta di classici it. Annotati; Anno edizione: 2016), infarcita di dialetto padano inaccettabile ai salotti letterari del tempo. Ed al potere, incidenter.
In controtendenza si segnalano le splendide eccezioni, ad esempio, del romano Gioacchino Belli e del milanese Carlo Porta. Che non facevano “mondo” al tempo.
Nel ‘900, al di là degli esperimenti paesani, innumerevoli, enorme il contributo di Carlo Emilio Gadda, col “Pasticciaccio”, tra gli altri (si veda ad es. “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, Carlo Emilio Gadda;, Curatore Giorgio Pinotti;, Editore: Adelphi;, Collana: Biblioteca Adelphi; Anno edizione: 2018). Originalissima commistione tra un italiano barocco e dialetti vari.

Ora, fondamentalmente sino all’inizio del ‘900 l’italiano era lingua letteraria e burocratica, pressoché sconosciuta a larghi strati della popolazione. Dante creò l’italiano e l’Italia o compresse, involontariamente, le realtà locali con le loro genuine espressioni linguistiche e culturali, consegnandole all’irrilevanza?
O ancora, la lingua dantesca fu usata come spada di una volontà di dominio da parte di elités religioso-economiche? Per l’uso della lingua in questo senso si veda Max Weber, Dominio, “Donzelli” editore.
E per l’Italia come espressione non solo geografica si rimanda a Edward Gibbon, Declino e caduta dell’impero romano. Ediz. integrale. Vol. 1, “Res Gestae” editore.
Gli inglesi e i mafiosi fecero l’Italia, non certo Garibaldi.
Sulla lingua e sul dominio in Italia c’è molto da dire, come sul federalismo inattuato di Carlo Cattaneo (Federalismo, Carlo Cattaneo,, Editore: Mimesis;, Collana: Minima/Voti, Anno edizione 2011).
Ma non è questa la sede per simili dissertazioni.
Lo è, però, per invitare chi lo voglia ad approfondire, leggere, contraddire e a non andare appresso ai profeti dell’ovvio, cantori della volontà di Dominio dei pochi.
Ragionate e ribellatevi sempre. Mettete in discussione chiunque e qualunque cosa, sempre. In special modo quando e quanto più appare plausibile e ben confezionata.
Per la libertà
Il Vostro Taddeo Di Suessa.