di ORESTE TRANTINO
Alessandro Benetton è il rampollo più famoso, titolato e addestrato, per continuare la tradizione di famiglia.
Un predestinato, Alex, figlio di Luciano: sissignore quello con i capelli scompigliati, la faccia immagine dei maglioni, l’amico di una vita di Oliviero Toscani. Luciano il grande mecenate, filantropo, l’anima nera ma con i vestiti multicolor, cui lo stesso George Soros ha detto molte volte di ispirarsi.

Alessandro oggi è il capo, il numero uno di Benetton Group, quello che alla fine firma per delega, ma solo dopo aver concordato tutto con gli zii e il papà. È felicemente sposato con Deborah Compagnoni, la fortissima azzurra di sci pluricampionessa olimpica e mondiale con cui ha avuto tre figli.
Certamente i miliardi di euro che Lui e la sua famiglia contano per permettersi tanti lussi, non possono essere quelli dei maglioni che, ricordo, sono i più scarsi qualitativamente mai comprati in vita mia. Quelli che al primo lavaggio si accorciavano della metà per la disperazione di mia madre che non sapeva come correggerli. E nemmeno dal vitalizio di 3.200 euro che Papà Luciano acquisì 30 anni fa per essere stato senatore del Partito Repubblicano per circa due anni, e che ha sempre puntualmente incassato.
I veri soldi, quelli piovuti a grandine, i Benetton li hanno fatti quando Prodi (commissario liquidatore dell’IRI), gli regalò la concessione delle Autostrade italiane. Con quello strano “dono”, con quel “regalo” di zio Romano, i Benetton sono diventati per davvero ricchi.

Una delle cose che quotidianamente impegna Alessandro è quella di videoriprendersi mentre elabora concetti economici e strategie coraggiose di cambiamento imprenditoriale.
I video poi finiscono in una rubrica on-line del solito Corriere della Sera (video.corriere.it>economia). Insomma concetti per radical chic di assoluta fedeltà, quelli di Benetton junior, perché vanno al di là dell’orizzonte visibile stando al livello plebeo e che, invece, lui può legittimamente inquadrare nitidamente dal suo palchetto riservato nell’elitaria arca dorata tra le nuvole.
Lo stesso Corriere che, vi sfido a trovare articoli in merito, in questi giorni è stato parecchio distratto sugli arresti, avvenuti nella controllata dei Benetton, Atlantia, circa il crollo del Viadotto Pulcevera a Genova (ponte Morandi) e la conseguente inchiesta sul sistema della manutenzione dell’intera rete autostradale italiana.
Miliardi di euro non investiti nelle necessarie opere infrastrutturali che invece finivano nei colossali dividendi dei soci.
Uno scandalo talmente fuori portata che, la giustizia, di comune accordo con gli altissimi vertici istituzionali, Presidente della Repubblica in testa (si tratta di gestione del patrimonio pubblico Costituzionalmente garantito), e l’intero sistema della propaganda mediatica, colpevolmente non vedono.

Per carità, il Corriere non è il solo giornale a stare zitto e preferire girare lo sguardo da un’altra parte, anche Repubblica (recentemente passata in mano degli Agnelli) e l’ultra-giustizialista Fatto Quotidiano non ne stanno facendo menzione.
Oggi, mentre scrivo il mio articolo per Contropotere, in sottofondo sento la voce di Alessandro che, nella sua rubrica didattica del 20 ottobre 2020, mi indica un esempio da seguire: Dick Fosbury (saltatore in alto che saltava di schiena), e mi spiega come è importante lo studio e l’innovazione per raggiungere risultati sempre all’avanguardia.
Ci racconta che l’americano vinse l’oro olimpico perché fu quello che non fece cadere l’asticella posta a 2.24 (nuovo record mondiale), cosa che invece gli altri fecero saltando con la vecchia tecnica di pancia.
Dunque questo è il consiglio di Alessandro sull’innovazione: avere il coraggio di osare.
Solo che il ponte Morandi, attaccato col vinavil per non spendere soldi e aumentare i miliardi in banca di Alessandro secondo le intercettazioni dei dirigenti Atlantia in mano ai giudici, contrariamente all’asticella di Fosbury è caduto, combinando un disastro e ammazzando 43 innocenti.
