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Ritorna al lavoro l’imprenditore Carmine Zappia, vittima di estorsione ed usura. Il 4 settembre riapre il suo Tabacchi.
Ritorna al lavoro l’imprenditore Carmine Zappia, vittima di estorsione ed usura. Il 4 settembre riapre il suo Tabacchi.
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Ritorna al lavoro l’imprenditore Carmine Zappia, vittima di estorsione ed usura. Il 4 settembre riapre il suo Tabacchi.

Agosto 28th, 2020 Enza Dell'Acqua Mafie

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di ENZA DELL’ACQUA

Doveva restare chiuso solo per 15 giorni il Tabacchi di Carmine Zappia, a partire dal 17 agosto del 2019, quando si abbassò la saracinesca del suo locale. L’imprenditore, vittima di un tentacolare disegno criminoso, era ormai sul lastrico, dopo che i suoi aguzzini lo avevano depredato di tutto ciò che aveva. Ma il prossimo 4 settembre, finalmente, Zappia riaprirà il suo esercizio commerciale, e potrà provare a riprendersi la vita che gli è stata derubata in anni di continue vessazioni.

Carmine Zappia, l’imprenditore coraggioso che ha denunciato i suoi persecutori.


Questa è la storia di un uomo coraggioso. Un imprenditore proprietario di un tabacchi-ricevitoria e di un grande negozio di mobili, che ha trovato la forza per denunciare coloro i quali lo opprimevano da anni con continue richieste di denaro. Usura ed estorsione. Queste le accuse mosse al boss Antonio Mancuso, 81 anni, e al nipote, Alfonso Cicerone, 45, arrestati il 19 luglio del 2019. Le indagini sono partite proprio grazie alla denuncia che Carmine ha presentato ai Carabinieri. Il suo è stato un lungo calvario nelle mani dei suoi persecutori. Una squadra composita e determinata operava, secondo le risultanze investigative, per annichilire e minacciare l’imprenditore, costringendolo a versare continue somme di denaro e intimandogli di cedere loro le sue attività commerciali.

Antonio Mancuso, 81 anni, boss dell’omonimo clan che spadroneggia nel territorio vibonese, secondo gli inquirenti è lui mandante e beneficiario della condotta delittuosa ai danni di Zappia.

I NOMI DEGLI ALTRI INDAGATI

Infatti, insieme al Mancuso e al nipote, a finire nel registro degli indagati anche Giuseppe Cicerone, 89 anni, di Nicotera; Salvatore Gurzì, 35 anni, di Nicotera; Andrea Campisi, 38 anni, di Nicotera; Rocco D’Amico, 39 anni, di Preitoni (frazione di Nicotera); Francesco D’Ambrosio, 40 anni, di Nicotera; Salvatore Comerci, 35 anni, di Nicotera; Giovanni Iermito, 23 anni, di Comerconi (frazione di Nicotera); Francesco D’Aloi, 20 anni, di Preitoni di Nicotera; Gabriele Gallone, 19 anni, di Nicotera Marina.
L’inchiesta, denominata “Maqlub”, è stata condotta dal pm della Dda di Catanzaro, Antonio De Bernardo. Le indagini sono state affidate ai Carabinieri della Compagnia di Tropea che hanno eseguito gli arresti del boss Antonio Mancuso e del nipote Alfonso Cicerone, 46 anni, di Nicotera. 

CRONOSTORIA DEI FATTI.

Maggio del 2011: l’imprenditore Carmine Zappia acquista da tale Maria Giacco un immobile sito in via Filippella, del valore di 400mila euro. Il boss di Nicotera e Limbadi, Antonio Mancuso un giorno, però, comunica a Zappia di aver rilevato il residuo credito di 200mila euro vantato dalla Giacco. Da quel momento in poi, dunque, era con il boss che l’imprenditore avrebbe dovuto saldare la sua posizione debitoria. Secondo le risultanze investigative, Antonio Mancuso avrebbe impartito ai suoi sodali le direttive per l’estorsione, essendo considerato mandante e beneficiario della condotta delittuosa.
Gennaio 2018: alla vittima viene imposto di saldare il suo debito versando 15mila euro ogni tre mesi. Somma in seguito ridotta a 5mila euro ogni tre mesi.
Ottobre 2018: gli indagati intimano a Zappia di pagare puntualmente, altrimenti non avrebbe più dovuto aprire il Tabacchi e il negozio di mobili. Anzi, quest’ultimo doveva essere sgomberato. Nel contempo lo “invitavano”, poiché non riusciva a saldare il suo debito, di chiedere a strozzo la somma da versare allo stesso boss. Il disavanzo così cresceva esponenzialmente e Zappia era sempre più stritolato dalle pressanti ed esose richieste di denaro. Ma le cose erano destinate ad aggravarsi.

Maggio 2019: il Mancuso comunica alla vittima che i 5mila euro versati mensilmente erano da considerarsi quale affitto dei locali del negozio di mobili, con tanto di aggravio del 10% mensile sull’insoluto (benchè il negozio fosse già di proprietà dell’imprenditore), surplus economico che contribuiva a saldare il debito residuo. Inoltre Antonio Mancuso, alla presenza del cognato Giuseppe Cicerone, del nipote Alfonso Cicerone, e del genero Salvatore Comerci, avrebbe imposto alla vittima di affiggere alla propria attività di arredamenti il cartello “Vendesi”.

Giugno 2019: il boss Antonio Mancuso avrebbe preteso ulteriori 11.500 euro, richiesta accompagnata sempre dalle solite minacce eseguite con modalità mafiosa.

2 Luglio 2019: alla vittima vengono richiesti ulteriori 1.500 euro di interessi per il mancato tempestivo pagamento della somma di 11.500 euro.

5 Luglio 2019: viene avanzata la pretesa di altre mille euro, a titolo di interessi per l’eventuale ritardo pagamento delle somme di 11.500 euro + 1500 euro, per un totale di 13.000 euro. In caso di mancato versamento, gli estorsori imponevano all’imprenditore di non alzare le saracinesche delle sue attività commerciali. 

6 Luglio 2019: il boss Antonio Mancuso, in presenza di Alfonso Cicerone, comunica alla vittima che, in caso di ulteriori ritardi nei pagamenti, avrebbe dovuto cedere a lui (o a chi per lui) circa 100 metri quadri del negozio di arredamenti per un valore di circa 70mila euro, cessione che non comportava alcuna riduzione del debito residuo. Ma il boss avanzava altre richieste: la cessione dell’intero negozio di arredamenti o della tabaccheria.

19 Luglio 2019: scatta l’arresto per Antonio Mancuso e il nipote Alfonso Cicerone, mentre lo staff al servizio del boss resta indagato a piede libero.

I CAPI D’ACCUSA

Tutti gli indagati detenevano ciascuno un ruolo ben preciso. I due Cicerone, Giuseppe di 89 anni, e Alfonso di 45, rispettivamente cognato e nipote del boss, sono accusati di estorsione aggravata dalle modalità mafiose. A loro sarebbe stato affidato l’incarico di tenere direttamente i rapporti con Zappia. Gli altri imputati sono accusati di far parte, a vario titolo, del medesimo disegno criminoso; nello specifico Rocco D’Amico, Salvatore Gurzì e Andrea Campisi sono accusati di essere gli esecutori materiali dell’estorsione. Per Francesco D’Aloi, Giovanni Iermito, Gabriele Gallone, è scattata l’accusa di reato di favoreggiamento personale aggravato dalle finalità mafiose. Avrebbero interrotto il funzionamento di una telecamera utilizzata dai carabinieri nell’ambito delle indagini, aiutando così gli indagati ad eludere le investigazioni.

Francesco D’Ambrosio, accusato di estorsione ai danni dei venditori ambulanti senegalesi

Francesco D’Ambrosio, Alfonso Cicerone e Rocco D’Amico, sono inoltre accusati di altra tentata estorsione per aver cercato l’1 giugno dello scorso anno di farsi consegnare dagli ambulanti senegalesi, che stazionavano in piazza Garibaldi a Nicotera, 50 euro ciascuno per l’occupazione dello spazio pubblico dinanzi al bar di Cicerone. Inoltre Alfonso Cicerone è accusato di tentata estorsione e illecita concorrenza con minaccia o violenza per aver imposto all’organizzatore della manifestazione, Nino Cupitò, di non distribuire panini e bevande gratis durante la manifestazione del Taranta Festival, in quanto pretendeva che dovesse essere il suo locale, il Bar Plaza, sito in piazza Garibaldi, a lucrare sull’evento, somministrando i suddetti alimenti.

LA SCALATA IN SOLITARIA DI CARMINE

Quando Carmine Zappia, lo scorso agosto, ha abbassato la saracinesca del suo locale era ormai sul lastrico dopo anni di vessazioni e continue richieste di denaro: non aveva più il denaro per pagare i fornitori. Gli espositori delle sigarette alle sue spalle erano ormai vuoti. I clienti che facevano ingresso nel suo negozio non trovano più le loro preferite e girano i tacchi alla ricerca di un rivenditore più fornito.
Una lunga pausa nella quale l’imprenditore coraggioso, che dovrebbe essere modello da imitare per quanti vivono ciò che lui ha vissuto, non ha mai perso la speranza. Il desiderio di riscatto l’ha sempre accompagnato. Con la schiena dritta e controvento ha aspettato che la giustizia facesse il suo corso. La fiducia nelle Forze dell’ordine e nel prefetto di Vibo Francesco Zito non l’ha mai abbandonato.

Il prefetto di Vibo Francesco Zito ha fortemente sostenuto l’imprenditore vessato

Il rappresentante territoriale del Governo l’ha accompagnato in questo lungo percorso, attivandosi per fargli ottenere il ristoro previsto per le vittime di usura.
Quella di Carmine Zappia, al netto del sostegno della prefettura e dei Carabinieri, è stata una scalata in solitaria. Un ripartire da zero, animato da un’incredibile forza di volontà e sete di giustizia. Anche quando era solo, quando nessun rappresentate politico o istituzionale si è fatto avanti per infondergli coraggio ed esprimergli solidarietà, in conformità con un contesto omertoso e oppresso dalla paura. Una solidarietà tardiva alla fine è arrivata, dopo un grande tam tam mediatico, dal Comune di Nicotera, costituitosi parte civile nel processo che Carmine dovrà affrontare, e della Regione Calabria. Meglio tardi che mai.
L’unica associazione a manifestare immediatamente vicinanza a Carmine Zappia è stata la Kreonte, nata a sostegno delle vittime della mafia, che il 3 agosto 2019 organizzò una marcia di solidarietà per l’imprenditore.

Un momento della manifestazione pro Zappia, organizzata dall’associazione KREONTE
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