di ENZA DELL’ACQUA
“Per anni hanno utilizzato tutto il repertorio e gli arnesi della vecchia politica senza cavare un ragno da un buco, vecchi tromboni in cerca ancora di un ultimo quarto d’ora di notorietà, si permettono il lusso di criticare l’operato della nostra amministrazione, che in un anno di lavoro ha ottenuto risultati che per loro non erano nemmeno immaginabili”. A scrivere queste righe- additando i commentatori del suo operato come dei vecchi tromboni della politica, falliti e inconcludenti, che devono lasciar spazio al nuovo che avanza- non è un giovane e candido virgulto. No, a scrivere queste parole è Giuseppe Marasco, sindaco di Nicotera, classe 1966, uno che fa politica dagli anni Novanta (nell’agosto del 1996, appena trentenne, entrò nell’amministrazione guidata da Princivalle Adilardi).
Non, dunque, un verginello, bensì uno che i marciapiedi della politica li conosce molto bene, che è stato amministratore ben cinque volte: quattro volte a Nicotera e una a Limbadi, nell’esecutivo Pantaleone Sergi. Eppure, il sindaco tiene a sottolineare la vetustà di chi gli muove legittimamente delle critiche, sia dell’opposizione che da parte di osservatori esterni, illudendosi forse che i cittadini abbiano la memoria corta e non ricordino che lui gironzolava a palazzo Convento già da ragazzino, e che nella sua compagine amministrativa e tra i suoi supporter è pieno di gente riesumata dal passato; gente dentro le liste elettorali, o impegnata a girar casa per casa a rastrellare elettori, o dietro le quinte ad oliare i macchinari. Quale sia la novità che il sindaco Marasco vorrebbe millantare non è ben chiaro, perché operando un’accurata analisi dell’establishment che rappresenta, di novità se ne vedono ben poche. Anzi, forse una differenza con il passato c’è. Il primo cittadino è uno che si distingue da chi l’ha preceduto per il solo fatto che è stato molto fortunato. Egli sa benissimo, infatti, che quando si è insediato a palazzo Convento, ha trovato le casse municipali ricolme di denaro, dovuto al lavoro di intercettazione di fondi pubblici messo a punto dalla Terna commissariale che ha guidato l’ente prima di lui. E così, nei forzieri comunali c’erano i soldi per la video sorveglianza; quelli per l’edilizia scolastica; quelli per la ricostruzione post alluvione, ed altro denaro destinato a risollevare le sorti del paese. Il suo compito è quello di spendere i soldi lasciatigli in eredità dai commissari, senza nemmeno doversi scomodare per preparare i progetti dato che la Terna aveva pensato anche a questo. Marasco e i suoi, quindi, hanno trovato la tavola apparecchiata e piena di ricche vivande. Il fatto che il Comune si trovi in stato di dissesto economico, paradossalmente ha contribuito ad alleviargli le preoccupazioni, in quanto molti debiti sono stati azzerati e il rientro dell’ente nei parametri finanziari previsti è totalmente a carico del contribuente nicoterese.
A volerla dire tutta, l’ex sindaco Franco Pagano ha trovato le condizioni economiche del Comune in condizioni disastrose quando si è insediato, nel novembre del 2012. L’ente era stato completamente depredato dal tristemente famoso sacco della Sogefil e soldi in cassa ve n’erano ben pochi. Fu proprio Pino Marasco, che nell’amministrazione Pagano è stato assessore, a dichiarare alla stampa, nel novembre del 2013, che il comune aveva in cassa solo 28 miseri euro. Ed era la verità. Pagano ha dovuto raschiare il fondo del barile, Marasco no. Spende e spande quanto gli pare e piace. E si vede.

È dunque in mala fede, il sindaco, quando si propone come il soter della città. Ed è altrettanto ingiusto quando accusa gli altri di essere vecchi e inefficienti; uno, perché nessun amministratore ha avuto i vantaggi economici che a lui sono toccati in sorte, facilitandogli straordinariamente la vita; e due perché egli è politicamente vecchio quanto gli altri, se non più degli altri, come si può facilmente dedurre dalle argomentazioni che mi accingo ad esporre di seguito.
Giuseppe Marasco ha cominciato la sua attività politica molto giovane, bazzicando negli ambienti di destra, anche se, molto astutamente, non si è mai apertamente schierato, al fine di poter essere quel jolly, buono per tutte le stagioni, che non ha riguardi per le questioni ideologiche. E così è stato. Nell’agosto del 1996 entrò a far parte dell’amministrazione capitanata da Princivalle Adilardi, missino di stretta osservanza, a cui l’infermiere prestato alla politica è stato legato da profonda amicizia. Conclusa l’esperienza con il primo Adilardi, Marasco si presentò alle comunali di Limbadi del 2002 con Pantaleone Sergi, che divenne sindaco. Era un’amministrazione di sinistra, quella di Sergi, ma per Marasco, che giungeva da un esecutivo filofascista, non era affatto un problema: segno inequivocabile della “versatilità” del politico consumato. Ad un certo punto, però, non resistette al canto delle sirene in camicia nera, e così l’eroe dei due mondi (così veniva simpaticamente soprannominato dagli amici) presentò le dimissioni da consigliere e tornò a Nicotera dove si arruolò nuovamente nelle truppe di Adilardi. E così cominciò la sua seconda esperienza da amministratore nella cittadina costiera.

Il secondo Adilardi durò dal 2002 al 2005. Marasco ebbe come compagni di giunta uomini notissimi alla politica medmea: Pasquale Gallo, Salvatore Solano e Campisi Vincenzo. Ma soprattutto fu testimone dell’inizio della rovina della città, sul piano finanziario, perché con una deliberazione del 24 maggio del 2004, la n.102, l’amministrazione Adilardi rescindeva la convenzione in essere con l’Etr, esternalizzando la riscossione dei tributi. Il 3 marzo del 2005 l’ente stipulava con la Saigese (quella che poi sarebbe diventata Sogefil) un contratto per l’affidamento del servizio di riscossione volontaria e coattiva di Ici, Tarsu e servizio idrico integrato, per la durata di 2 anni, contratto illecitamente prorogato ogni due anni, fino a che non si scoprirono gli amari altarini, nel 2010. Giuseppe Marasco, colui che chiama “vecchi tromboni” i suoi coetanei, c’era, e lo sfacelo ebbe inizio sotto i suoi occhi. Tuttavia, l’astuzia che lo contraddistingue gli suggerì di abbandonare la nave prima che affondasse; la bufera si stava abbattendo su palazzo Convento: infatti nel 2005 il Consiglio fu sciolto per infiltrazioni mafiose. Con quella fuga pensò forse di smarcarsi per tempo e per sempre da quella esperienza amministrativa, ma l’impronta della sua presenza rimane in quegli anni politici e nelle azioni che essi produssero.
Dopo un periodo di quiete, scese nuovamente in campo. I nuovi compagni d’avventura erano diversi, ma politicamente vecchi ed usurati quanto lui. A capo della lista “Patto per la legalità” c’era l’avvocato Francesco Pagano, comunista convinto che dal 1998 al 2000 era stato assessore nell’esecutivo guidato da Domenico Ponteriero. Insieme a loro Francesco Mollese che non aveva fatto in tempo ad entrare nell’esecutivo del primo Adilardi, nel ’96, che subito era stato espulso per questioni di “inopportunità”. Il legame che Marasco aveva con l’ex sindaco era molto forte, ed andava al di là della passione politica che li accomunava. Tra loro c’era anche un vincolo di “comparaggio” oltre che di fraterna amicizia, tant’è vero che l’eroe dei due mondi si attivò proficuamente, come egli dichiarò più volte, per la vittoria della lista che vedeva come sindaco il suo amico avvocato. E così fu. L’amministrazione che si insediò nel 2012 è probabilmente quella che concluse, più di ogni altra, la sua esperienza a palazzo Convento in modo disastroso.

Pagano ne uscì con delle grane giudiziarie sul groppone: per la nota questione dell’atterraggio dell’elicottero e per l’appalto del waterfront a Nicotera Marina. A proposito di quest’ultima gatta da pelare, Marasco era presente in quella riunione di giunta, il 29 settembre del 2014, quando si deliberò il “completamento e riqualificazione del waterfront e recupero della pineta di Nicotera Marina al fine di realizzare infrastrutture per il tempo libero”. Un’opera che si rivelò un disastro sul piano dell’impatto ambientale e un indecoroso spreco di denaro pubblico. Lui c’era anche nel settembre del 2013, quando l’amministrazione Pagano firmò la vergognosa delibera contro la libertà di stampa, la n. 108, che annunciava ritorsioni contro i giornalisti qualora scrivessero cose sgradite al palazzo. Ritorsioni, si intende, di tipo legale. Ideatore della delibera fu proprio Marasco, come lo stesso ebbe a dire in svariate occasioni. Un metodo alla Erdogan che, a quanto pare, usa anche adesso che è sindaco, e che egli, evidentemente, ritiene essere un modo efficace per spezzare le ali all’articolo 21 della Costituzione. Ad un certo punto, però, l’attuale sindaco abbandonò l’esecutivo Pagano: con il solito istinto del topo stipato nella carena della nave che avverte il pericolo, ancora una volta se la diede a gambe: era il gennaio del 2015. Le motivazioni erano collegate, ufficialmente, al mancato sostegno dei suoi colleghi di giunta nella sua candidatura alle regionali del novembre del 2014. In realtà, alla base di tutto pare ci fossero dei patti pre elettorali che non erano stati rispettati. Ancora più verosimilmente, come in una premonizione, gli parve di udire i passi dei componenti della commissione d’accesso che bacchettavano il granito delle scale del municipio.
Di lui, per un po’, si perse ogni traccia. Si narra che si rifugiò nella sua Badia, nel tentativo di ricostruirsi l’imene.

Quando sembrava voler abbracciare la vita claustrale, eccolo ricomparire sulla scena politica. Torna con il solito sorrido innocente, giurando che la squadra che intende presentare per le imminenti comunali sia nuova e fresca quanto lui. In realtà, un filo rosso collega Marasco alle amministrazioni passate, e un doppio filo rosso lo collega all’amministrazione Pagano. Non si può infatti sottacere che l’attuale assessore ai Lavori Pubblici, Marco Vecchio, non è certo di primo pelo. Vecchio è sempre stato una prima scelta dell’amministrazione Pagano.

Era lui il direttore dei lavori di quell’enorme spreco di denaro pubblico che è quell’incomprensibile piattaforma di cemento, sorta dall’oggi al domani sul lungomare di Nicotera Marina, località Medameo. Un’opera inutile e fortemente impattante sul piano ambientale e paesaggistico di cui non si è mai capito il reale scopo, se non quello di costare 28mila euro ai contribuenti nicoteresi. Marco Vecchio è inoltre stato progettista e direttore dei lavori del ripristino strade interpoderali a servizio dei comprensori agricoli, nell’ambito del Progetto integrato aree rurali (PIAR).

Un conflitto di interessi enorme si consumava in quel di palazzo Convento, dato che Vecchio era cognato del presidente del consiglio prima ,e assessore poi, della giunta Pagano, Michele Milidoni.
Ora la città se lo ritrova di nuovo con le mani in pasta, benchè in veste di assessore; e siccome il senso del mastodontico non l’ha mai abbandonato, dopo l’orrenda piattaforma edificata a Nicotera Marina, Vecchio sta mettendo a punto una rotatoria nello svincolo di via Tondo: un’aiuola dalle proporzioni esagerate domina l’intersezione stradale rendendo impossibile il passaggio ai mezzi pesanti.

E’ il cognato dell’assessore Marco Vecchio.
Un’altra figura che è sempre stata di casa a palazzo Convento, e che ora continua a dominare la scena, è quella di Antonino Cupitò, detto Nino. Cupitò non è solo lo zio dell’assessora al Bilancio e vicesindaca Valeria Caronte, egli è anche l’anima del gruppo di volontari “della ramazza” che sta rallegrando la città. E’ colui che, insieme al suo staff, rende più facile la vita alla ditta dei rifiuti Mea, andando a fare i lavori di spazzamento e pulizia del paese che, in base a quanto stabilito dall’appalto in essere, spetterebbero alla ditta stessa.

Ma non solo. Nino Cupitò era anche contitolare della ditta Eurofer che ha svolto decine di lavori per la giunta Pagano, prevalentemente nell’ambito del servizio di gestione, manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti di sollevamento delle acque reflue del Comune. Un appalto vinto nel febbraio del 2014 e poi, di volta in volta, illecitamente prorogato.
Per il ruolo svolto nell’amministrazione Marasco, per l’assidua presenza e il ruolo di factotum, supera in operosità qualsiasi altro assessore, compresa la nipote, Valeria Caronte, assessora e vicesindaca che probabilmente non passerà alla storia come volitiva ed energica amministratrice, ma più verosimilmente come “volontaria”.

Tra i personaggi che accomunano le due amministrazioni, non si può non citare Giovanni Durante, figura diafana eppure incredibilmente incisiva nelle amministrazioni per le quali ha svolto il ruolo di estensore di delibere, ma anche di consigliere speciale, quello che oggi definiremmo “spin doctor”. Palazzo Convento pare sia la sua seconda casa, dato che egli già c’era ai tempi del secondo Adilardi, per poi approdare nella commissione straordinaria guidata dal commissario prefettizio Marcello Palmieri; presente anche nell’amministrazione Reggio; in quella di Pagano e adesso nell’esecutivo Marasco. L’attuale sindaco ultimamente l’ha incoronato su Facebook “addetto stampa” del suo esecutivo, benchè non ci sia uno straccio di documento che qualifichi il suo ruolo e il costo delle sue prestazioni a palazzo Convento.

Dulcis in fundo, tra i punti di collegamento dell’amministrazione Marasco e quella di Pagano, c’è l’ingegnere Carmelo Ciampa, responsabile dell’Ufficio Tecnico. Il funzionario lametino è iscritto nel registro degli indagati per almeno tre procedimenti penali: dai lavori al waterfront, finiti in una inchiesta della Guardia di Finanza, al famoso atterraggio dell’elicottero in piazza Castello. Per lui capi d’accusa a gogo e una gestione dell’ufficio tecnico scadente, viste le criticità che interessano il territorio.
Marasco ha dunque portato con sé in questo esecutivo tutto il passato del comune di Nicotera.

Eredità scomode che vanno ad incidere nella gestione amministrativa, e di cui è impossibile divincolarsene definitivamente. La continuità con il passato è dunque salva: niente deve cambiare perché l’immobilismo è garanzia di un sistema che si autoalimenta di conservatorismo. A ruotare intorno al Comune medmeo sono sempre gli stessi personaggi, elementi di un copione già scritto e il cui finale è sempre drammaticamente uguale: la tutela di pochi, lo svantaggio di tutti.