Si è arrampicato sulla scala antincendio dell’ospedale di Vibo, poco dopo le 13 di questa rovente giornata di luglio, e da lì, secondo una primissima ricostruzione dei fatti, sarebbe “caduto”. Le sue condizioni sono apparse subito disperate. Qualche ora dopo è spirato a causa delle ferite riportate nel violento impatto con il suolo. E’ finita così la difficile esistenza di R.C., un 41enne di Rizziconi, paese a pochi kilometri da Gioia Tauro, ricoverato nel Reparto di Psichiatria dello Jazzolino. L’uomo era si trovava in ospedale dal 2 luglio scorso, quando per lui era stato disposto il Trattamento Sanitario Obbligatorio per una crisi psicotica correlata a delle gravi patologie psichiatriche che lo assillavano da tempo. Il 41enne al momento della disposizione del ricovero coatto si trovava sottoposto a misura cautelativa da parte dell’autorità giudiziaria per alcuni conti in sospeso con la legge. A cercare di vederci chiaro sulla morte dello sfortunato degente la Squadra Mobile di Vibo Valentia. Agli agenti toccherà capire se si è trattato di un incidente o se invece il giovane abbia cercato la morte spinto dalle critiche condizioni mentali.

In ogni caso desta perplessità come sia potuto accadere che un soggetto sottoposto a Tso, oltre che in regime di detenzione, si sia potuto allontanare dal reparto e dirigersi verso l’esterno senza che nessuno si accorgesse dei suoi spostamenti e della fatale arrampicata sulle scale antincendio.
Ciò che invece appare evidente è che il 41enne sia rimasto sprovvisto di vigilanza per troppo tempo: quello che gli è bastato per fare quello che ha fatto. Pare che ci si è accorti di lui dopo il tonfo udito da alcuni medici all’interno dell’ospedale: il suono sordo di un corpo che impatta con l’asfalto. Il soccorso è stato immediato, ma il destino del giovane detenuto era ormai segnato.
La vicenda del 41enne spirato oggi, porta alla memoria un altro caso di mancata custodia di un’altra paziente, anch’essa condotta nel Reparto di Psichiatria di Vibo. Si tratta di Sonia Pontoriero, una 41enne che il 29 settembre del 2016 si è lanciata nel vuoto da un viadotto di 60 metri sul tratto dell’autostrada A3 “Salerno-Reggio Calabria” in corrispondenza del tristemente famoso “ponte di Pizzo”, già teatro di altri suicidi.

Sonia Pontoriero quel giorno era stata trasportata allo Jazzolino a causa di conclamati disturbi psichici e di uno scompenso psicotico in atto; erano stati gli stessi familiari a chiedere per lei il ricovero coatto, ma il personale medico presente non avrebbe disposto per lei il Tso, né la donna era stata sottoposta a vigilanza, nonostante le evidenti condizioni di delirio. La paziente, dunque, sprovvista di ogni controllo si sarebbe allontanata dall’ospedale per raggiungere il luogo prescelto per la sua morte.
Questa la ricostruzione fornita dall’accusa. I familiari presentarono, infatti, una denuncia a cui è seguita il rinvio a giudizio degli indagati (una psichiatra, una psicologa e un infermiere) con l’accusa di concorso in abbandono di persona incapace, con l’aggravante di averne cagionato la morte.