Del 1989 ricordiamo il famoso balletto, in piazza Tienanmen a Pechino, tra uno studente e un carrarmato.
Fu una delle pagine più emblematiche della storia moderna anche perché vissuta in diretta, sotto i nostri occhi, senza il bisogno che storici, più o meno ideologizzati, la raccontassero con il solito carico di pelose verità sui libri.
Fu l’ultima rivoluzione colorata del 900 e fece traballare il mastodontico complesso politico cinese che, quel giorno, ebbe veramente paura. Un anno prima era caduto l’impero sovietico e, con esso, lo squallore sociale di tutti gli stati collegati oltre cortina. La nomenklatura comunista gialla, quel giorno, si trovò di fronte un bivio: o calmierare tutto in un cruento bagno di sangue, con una resistenza che avrebbe avuto conseguenze storiche micidiali oppure, cosa più logica, provare a cavalcare il drago globalista alla pari di ogni potenza mondiale. E così fu.
Da quel momento in poi gli investimenti globalisti nella nazione più grande del mondo per numero di abitanti furono massicci.
Ogni multinazionale impiantò nelle province costiere cinesi una fabbrica, attirando tutte le altre che da esse dipendevano. L’industria cinese partì con la velocità della luce, attraendo con l’imponente forza gravitazionale di un buco nero formato da un miliardo di addetti a bassissimo costo, ogni forma di produzione, anche dall’altro capo del pianeta.

Fu così che cambiò la produzione industriale mondiale. Prodotti che prima costavano molto, di colpo potevano essere acquistate a bassissimo costo, diventando fruibili ad una sempre più vasta massa di persone, anche nelle nazioni povere e poverissime.
Una quantità sempre più grande di merci iniziò ad arrivare dalla Cina con il mezzo principe di trasporto: il container. Anche altri paesi dell’Estremo Oriente furono coinvolti nel processo industriale. Oggi il 70% della produzione del mondo si forma in quell’area del pianeta tra l’oceano Indiano e il Pacifico.
Cina, Giappone, Corea del Sud, India, Indonesia, Vietnam, Malesia, Pakistan….

Da ogni porto di queste nazioni, tutti i giorni, partono mega navi portacontainer che viaggiano in direzione Europa, e anche quelle che vanno in America. Perché?
La circonferenza della Terra (equatore) è di 40.075 km, la semi circonferenza compresa tra la Cina e la costa occidentale degli Stati Uniti meridionali è occupata dalla enorme massa d’acqua dell’Oceano Pacifico che è lunga poco meno della metà dell’Equatore circa 16.000 Km. Ecco perché la maggior parte di tutto il traffico marittimo commerciale ha una rotta obbligata e interessa l’Oceano Indiano, il Canale di Suez, Mar Mediterraneo, Stretto di Gibilterra, Oceano Atlantico con le varie rotte successive: verso Mare del Nord, Africa occidentale e America che, passando dal Golfo del Messico e attraversando il Canale di Panama, arriva sino alla costa Pacifica del nord e del sud America.
Poche navi attraversano direttamente il Pacifico e per una semplice questione di sicurezza, in quanto costrette ad un viaggio enorme e senza nessun contatto con la terra ferma per decine di giorni.
Attraversato il canale di Suez, il primo porto europeo collegato direttamente con le zone ricche, in cui una nave portacontainer transoceanica può attraccare, è quello di Gioia Tauro. Per un container che parte dalla provincia cinese di Shenzen per andare a Los Angeles, Gioia Tauro si trova esattamente a metà strada.

Eppure questa semplicissima lezione di geografia sembra non fare presa nella politica calabrese. Ma noi qui non vogliamo parlare del container, scimmiottando i discorsi dei politici e dei sindacati calabresi, o degli espertissimi soloni accademici che non hanno idea di cosa analizzare e dire.
No, vogliamo puntare l’obbiettivo sulle vere cause che non hanno permesso e non permettono compiutamente lo sviluppo del porto di Gioia Tauro e che se si mettessero in luce e si tentassero di sanare, farebbero girare il gioco dalla parte della Calabria a svantaggio di tutti gli altri porti del Mediterraneo.
Per le ragioni storiche e geografiche sopraesposte, il “transhipment” (trasbordo da nave a nave dei container) fu l’idea, la panacea per alleviare il momento di elevata difficoltà che il sistema dei trasporti incontrò dagli anni 90 in poi.

Una massa sempre più titanica di merci incominciò a invadere i continenti ricchi, mettendo in gravissima difficoltà i porti di destino non pronti nella ricettività a tale massiccia di produzione industriale. Per completezza di informazioni, si ricorda che un simile periodo di difficoltà logistica, che obbligò i trasporti alla sostanziale modifica delle infrastrutture interessate, fu quello a cavallo tra l’800 e il 900, in conseguenza della sostituzione delle navi a vela con quelle a vapore. Infatti l’avvento della meccanica (e dell’elica) fu il primo tsunami che sparigliò le modeste costanti crescite delle attività portuali nel mondo. Il motore meccanico non solo fungeva alla propulsione più veloce rispetto al veliero, ma consentiva una più variegata qualità del trasporto che prima era impossibile. Per esempio, il fatto che un motore potesse azionare una dinamo e costruire elettricità, ha fatto sì che potessero essere istallate a bordo delle celle frigo e consentire il trasporto di derrate alimentari deperibili.
La propulsione a motore consentiva inoltre, in proporzione all’aumento della potenza a seguito del costante miglioramento tecnologico, di costruire navi sempre più grandi e ugualmente veloci. All’inizio del 900, con l’avvento della rivoluzione industriale, il mondo produttivo cambiò e, per quasi tutto il secolo, i porti si sono dovuti adeguare al nuovo corso tecnologico, incrementando, di molto, la propria capacità logistica di invio e ricezione delle merci anche in virtù dell’incremento, via via sempre più massimizzato, dei trasporti su rotaia.

La leggenda ci racconta che, nella prima metà degli anni 90, un imprenditore genovese (il patron della Contship), Angelo Ravano, fosse in vacanza in casa di un suo dirigente nativo di Lipari e stesse sorvolando con un aereo leggero lo specchio d’acqua tra le isole Eolie e la Calabria. Ad un tratto vide dall’alto il porto di Gioia Tauro e rimase folgorato come Paolo sulla via di Damasco. (1-continua).
Oreste Tarantino