Non sappiamo quello che succederà a Gioia Tauro. La Casa Comunale è ancora scossa per l’ennesimo filone di indagini che ha coinvolto i massimi dirigenti e pare che la stessa maggioranza, dopo neanche un anno di mandato, sia pronta alle dimissioni, lasciando al Prefetto il compito di procedere verso l’ennesimo commissariamento straordinario.
Inoltre, la stessa entusiastica “compagnanza” che aveva vinto le elezioni un anno fa, oggi si è frastagliata in (più sicuramente) due, forse anche tre, mini consigli in lotta tra di loro; mettiamoci il grave dissesto economico che non vede soluzioni, e la tempesta perfetta è servita.

Una città allo sbando insomma, moralmente, economicamente, socialmente.
Gioia Tauro è la citta che più rappresenta la grande terra di mezzo tra il bene e il male.
Una larghissima fascia di popolazione che rimbalza, come una pallina da tennis, nel campo della legalità e in quello dell’illegalità. La mano tesa dei diritti e il braccino corto dei doveri.
Il ragionamento potrebbe essere stigmatizzato con una battuta del tipo: “da tutte le parti è così”, è vero, ma nella capitale della Piana sono i fatti a parlare, la storia.

Per altri paesi si può fare qualche analisi, ma nel mio paese parlano i numeri, e i numeri non possono essere soggetti a interpretazioni.
Negli ultimi 32 anni, dal 1988 ad oggi, la metà del periodo Gioia non ha avuto sindaci, per 16 anni il comune è stato commissariato. Un paese come Platì insomma, se non fosse per il fatto che a Gioia Tauro insiste il terzo porto del Mediterraneo per capacità di attracco, cosa che vale il 50% di tutto il PIL privato di tutta la Calabria.

Basterebbe solo questo per rendere orgoglioso il semplice cittadino gioiese e renderlo padrone del proprio destino, invece tutto lo squallore sociale gli passa sopra come fosse acqua fresca, e lo dimostra quando va al voto.
Così di volta in volta, ha potuto digerire tutto: l’inceneritore più grande del Mezzogiorno, il depuratore più grande d’Europa, e poi la centrale a carbone (e meno male che non è stata costruita), e per non parlare del rigassificatore e, ancor prima, del quinto centro siderurgico…
Per tutti questi impianti ad alto impatto ambientale, una sola opera di compensazione è stata costruita nel territorio: l’Ospedale Giovanni XXIII.

Poi basta, a Gioia Tauro si era evidentemente fatto tanto; non una scuola, una sede secondaria di qualche ente… niente, tutto trasferito a Palmi.
A Gioia la merda e la spazzatura, a Palmi gli uffici; a Gioia le inquinantissime navi portacontainer, a Cosenza l’ampiamento dell’UNICAL; a Gioia le fogne, a Catanzaro il raddoppio di Germaneto.
Tutte le volte che si è dovuto sperimentare l’effetto detonante di una angheria sociale, Gioia è stato il laboratorio preferito di tutti i governi, di destra, di centro, di sinistra, o di centro-destra-sinistra.
E i gioiesi? Per i gioiesi il motto è il machiavellico “Franza o Spagna purchè se magna”, e questo ragionamento non vale solo per il semplice elettore, vale per i dirigenti comunali, gli impiegati, soprattutto vale per gli amministratori, i quali pensano solo ad una cosa: galleggiare.
Ognuno per sé, senza fare quadrato, senza essere comunità…. “jeu mi ndi futtu al cubo”.

Oggi leggevo (su Facebook) compaesani che magari occupano qualche posto, un poco sopra la media, nel porto di Gioia Tauro, prostrarsi come dall’urologo, sbolognando sperticate ruffianate alla volta del padron della MSC che sta facendo arrivare le maxinavi.

E’ bastato un bollino mensa in più dato con il sorriso a bocca sottile, per acquistarne l’anima. Eppure a nessuno sfiora l’idea che una grande nave che si toglie dal groppone tutti gli inutili container vuoti, ed evitare di farseli movimentare (a prezzi stratosferici) in un porto di destino delle merci, a Gioia Tauro ha trovato la gallina dalle uova d’oro. Solo che a Gioia Tauro, evidentemente, un uovo d’oro vale meno di un cartone per imballaggi.
