PARAGRAFO 1.
Nicotera. Il clima vissuto ieri pomeriggio a Nicotera era un po’ surreale e un po’ da emergenza terroristica. La notizia degli spari esplosi da un “pazzo” che si aggirava tra Limbadi e Nicotera si è diffusa nella manciata di pochi minuti, veicolata anche dal social network Facebook, in cui comparivano messaggi allarmanti di una situazione di grave pericolo a cui chiunque era potenzialmente esposto. Non era chiaro infatti chi fossero, e perché, le vittime predestinate dall’assalitore. Di lui si sapeva solo che era armato e pericolosissimo. Ma la paura è diventata terrore quando si è appreso che il ragazzo armato di fucile, aveva ucciso due persone, e ne aveva ferite altre tre. Una donna di 80 anni e un uomo di 67. Li aveva sorpresi entrambi all’interno delle loro case, nel luogo che probabilmente ritenevano più sicuro al mondo e certamente ignari del fatto che era la morte a bussare alle loro porte, in un accaldato pomeriggio di primavera. Tra le due abitazioni delle vittime, a poche centinaia di metri l’una dall’altra, c’è il Liceo Classico di Nicotera, a quell’ora ancora pieno di studenti per le ore di studio pomeridiano. La preside ha ordinato, resa edotta dei gravi fatti accorsi, che nessun ragazzo uscisse dall’istituto finchè la situazione non fosse apparsa più tranquilla, cosa che sembrava assai improbabile in quel via vai di mezzi delle Forze dell’ordine, il bombire degli elicotteri sui tetti delle case e la terribile certezza che c’era un uomo armato di fucile e senza scrupoli pronto a sparare. I genitori si sono precipati a scuola a recuperare i propri figli, stravolti dalla preoccupazione e dalla paura. Il paese d’un tratto si è velato di sconcerto e di terrore. Si sapeva solo che era in atto una caccia all’uomo, che l’assassino poteva trovarsi ovunque, dappertutto, che sfuggiva alle Forze dell’ordine e che chiunque poteva ritrovarselo armato davanti. Nicotera, ancora una volta al centro di gravi fatti di cronaca, ancora una volta è stata colta impreparata dal terrore e da fatti sanguinosi. Il potenziamento della Caserma di Carabinieri, l’apertura di un Commissariato di Polizia e la tanto agognata video sorveglianza sono progetti che sono rimasti tali, mentre si susseguono fatti sanguinosi, nella colpevole indifferenza politico-istituzionale.
PARAGRAFO 2.

Nicotera. Mentre continuano le ricerche di Francesco Olivieri, e l’intera popolazione è in trepida attesa della notizia della sua cattura, nuovi particolari cominciano ad emergere intorno al movente dell’azione omicidiaria messa in atto dall’assassino. Ad armare la mano del giovane pare sia stato un proposito di vendetta maturato nel tempo; germogliato nella sua testa quando era ancora un ragazzino di dieci anni e assistette al funerale di suo fratello Mario, morto assassinato. Ma la tragica fine del primogenito dei fratelli Olivieri pare non sia stata l’unica molla che ha trasformato un ragazzo scapestrato in un assassino. Altri pezzi del mosaico criminale piano piano vengono collocati al loro posto e il quadro che ne viene fuori è di una persona animata da un feroce risentimento verso le vittime, a causa di colpe vere o presunte, di certo ingigantite nella sua mente annebbiata dall’odio e forse da un desiderio di riscatto sociale e personale che è stato attuato nel peggiore dei modi. Tutte le persone diventate bersaglio del suo fucile a pellettoni, in un modo o nell’altro, gli avrebbero cagionato, secondo la sua personale lettura dei fatti, dei gravi torti, a lui personalmente, ma anche alla sua famiglia. Dai feriti di Limbadi all’uccisione di Michele Valerioti, passando per la signora Giuseppina Mollese, tutti, secondo il sanguinario tribunale che aveva in testa, erano colpevoli di qualcosa. E tutti erano stati condannati a morte. Pare, inoltre che il giovane possedesse “una lista” immaginaria, con i nomi di chi doveva essere giustiziato. E non è escluso che Olivieri avesse altri obiettivi, altre persone scritte nel suo elenco, ma questo è un aspetto su cui i Carabinieri stanno lavorando, pur smentendone, almeno in via ufficiale, la possibilità. Le Forze dell’ordine stanno comunque attentamente monitorando luoghi e personaggi ritenuti “sensibili”, attraverso l’istituzione di posti di controllo nei pressi degli stessi, finalizzati a scoraggiare ogni possibile azione dell’assassino ancora ricercato.
Nel mirino del killer pare ci fosse anche il dottor Pasquale Pagano, che avrebbe la colpa di non aver adeguatamente curato un suo fratello di 38anni, morto due anni fa a causa di un ictus. Altro nome contemplato nella lista quello di uno zio paterno, imprenditore edile, per il quale egli aveva lavorato come manovale. Di certo tutti, a vario titolo, dal suo puntio di vista, erano colpevoli di qualcosa e dovevano pagare con la vita. Solo la massiccia presenza dei Carabinieri, materializzatasi a Nicotera, nell’immediatezza dei fatti, lo ha costretto a darsi alla fuga e ad interrompere i suoi propositi sanguinari. Ritornando alle vittime, e al filo rosso che le lega all’assassino, delle tre persone colpite a Limbadi, una, il 61enne Pantaleone Timpano, è fratello del proprietario dell’autovettura colpita Caroni. Non è ancora chiaro che genere di legami Olivieri possa aver avuto con i Timpano, quel che si è appreso è che queste ultime sono persone legate, un dato probabilmente estemporneo ai fatti, da vincolo parentale con il narcotrafficante Vincenzo Timpano. La signora Giuseppina Mollese, aveva subìto un grave lutto il 22 dicembre del 1997: il figlio, Ignazio Gaglianò, era stato ucciso davanti al suo negozio. Un omicidio rimasto impunito, nonostante la madre abbia combattutto con tutte le sue forze per aver giustizia, partecipando anche ad alcune trasmissioni televisive nelle quali lanciava accorati appelli agli inquirenti per fare luce su quel brutale omicidio. L’assassino, però, non fu mai scoperto. Poco più di un anno dopo il fratello di Olivieri, Mario, morì anch’egli assassinato. Agli occhi degli investigatori i due omicidi potevano essere collegati. Ma questa circostanza non fu mai acclarata. L’assassino di Mario fu comunque arrestato e condannato all’ergastolo grazie alla testimonianza di un super testimone, ma il movente del delitto non fu mai chiarito in ambito processuale.
Michele Valerioti, l’altra vittima, era un uomo che per tutta la vita aveva lavorato onestamente come operaio. Colpito da una grave malattia, non usciva quasi più di casa. Il perché di questi delitti sono tutti racchiusi nella mente dell’assassino, ora in fuga. Continuano le ricerche da parte delle Forse dell’ordine e la speranza, da parte dei cittadini, che questo incubo finisca presto
PARAGRAFO 3.
Nicotera. Un paese ancora sotto shock, attonito. Un’atmosfera quasi rarefatta, pervasa di paura e sconcerto. Questo era il clima che si respirava ieri mattina a Nicotera, il giorno dopo la sparatoria che ha provocato due morti ed interminabili ore di terrore. Fino a tarda sera si sono alternati momenti di sollievo e delusione: le notizie della cattura dell’assalitore venivano subito smentite, per poi essere riconfermate, in una sfibrante altalena di preoccupazione e tregua. Alla fine è emersa la verità: Francesco Olivieri era ancora un uomo ricercato, e con questa dura consapevolezza è calata la notte su un paese affranto. E con lo stesso stato d’animo si è svegliato l’indomani mattina: scosso per la tremenda fine delle povere vittime e per il fatto che uno spietato assassino armato era riuscito a sfuggire alle ricerche delle Forze dell’ordine, e che poteva essere a pochi passi delle loro case, o chissà dove, ma comunque nel perimetro di un territorio trasformatosi improvvisamente in un labirinto pieno di infiniti cunicoli in cui egli era diventato invisibile, riuscendo quasi a mimetizzarsi con le piante, la terra, le cose, a sfuggire abilmente anche agli occhi dell’esperto nucleo dei Cacciatori di Calabria. Tutti, in paese, si sono sentiti improvvisamente più insicuri, più fragili, più tristi. La cifra dello stato d’animo dei nicoteresi era tutta nelle aule vuote delle scuole, di ogni ordine e grado. Dalla scuola materna alle superiori alunni assenti: i genitori li hanno lasciati a casa, terrorizzati all’idea che il folle armato di fucile potesse sfogare il suo odio mortale anche contro i loro figli. Il Liceo classico, venerdì, era ancora pieno di studenti mentre gli spari spezzavano il silenzio del primo pomeriggio; sfrecciavano davanti le auto dei Carabinieri e ronzavano sopra il tetto gli elicotteri in un clima da “dies irae”. Poi giunse l’ordine perentorio della dirigente: nessun ragazzo era autorizzato ad uscire dall’istituto. Tutti barricati nel pianeta dello studio e dei grandi classici per ripararsi dall’orrore e dall’ignoranza della violenza. I ragazzi potevano lasciare il Liceo solo se a prelevarli fossero stati esclusivamente i genitori. E così a mano a mano arrivavano padri e madri, trafelati e a passo svelto, a portare al sicuro i loro figli, tra le sirene e le divise, in un clima surreale da attacco terroristico. Memori della terribile giornata, ieri gli alunni hanno disertato le lezioni, e le scuole sono rimaste tristemente vuote, per la prima volta nella storia del paese, per una ragione simile. La situazione per le vie cittadine non era certo migliore. Poca, pochissima gente. I bar semideserti, poche persone raggruppate di qua e di là a commentare i fatti, a chiedersi perché. E piano piano, nei racconti di chi è stato testimone di quelle ore concitate, emergeva un quadro allucinante della dinamica dei fatti, di quel giovane fuori controllo che esplodeva colpi di fucile al suo passaggio, in corso Cavour, in via Castello. Coriandoli di bossoli segnavano il suo passaggio, mentre sfrecciava per le strette vie del paese, a bordo della sua Panda, a una velocità supersonica. Una ragazza in piazza Garibaldi è riuscita miracolosamente a schivare la sua auto, che procedeva follemente infrangendo il senso unico. Ma nessuno immaginava che quelle bravate in auto fossero il preludio di un tremendo piano criminale. Dopo il suo passaggio, solo lutto e spavento. Le agghiaccianti urla di disperazione dei familiari delle vittime si espandevano nei quartiere San Francesco e via Nuovo Liceo, mentre lui era già in fuga. Di questo giovane assassino è stata già delineata la vita famigliare, segnata da un grave lutto, e sono stati sottolineati i suoi guai con la giustizia. Nel suo profilo Facebook campeggia un’immagine del suo eroe preferito, Diabolik, il personaggio dei fumetti che nasce come ladro e spietato assassino ma poi diventa buono e umano. Ma questa storia non è un fumetto, ma una tragica storia di morte e forse di vendetta.
PARAGRAFO 4.
Nicotera. Ritrovata la famigerata Panda bianca usata da Francesco Olivieri per compiere la sua missione di morte. Era completamente bruciata in una zona montana nei pressi del Monte Poro e del paesino pedemontano di Spilinga, conosciuta come località “Colarizzi”. A fare la scoperta i Carabinieri della Compagnia di Tropea e della Stazione di Spilinga. I militari da venerdì pomeriggio sono alla ricerca del killer. Una poderosa caccia all’uomo condotta senza sosta, anche con l’ausilio dello Squadrone Carabinieri Eliportato Cacciatori Calabria. Una ricerca che finora era rimasta senza esito, fino al pomeriggio di ieri quando gli uomini dell’Arma, nel corso di una perlustrazione della vasta zona di campagna sul versante del Poro, hanno rinvenuto, come precisato, l’automobile usata da Olivieri per effettuare i suoi blitz mortali sfrecciando come una saetta per le vie di un paese atterrito. Il ritrovamento della Fiat Panda e le condizioni con cui è stata ritrovata apre le porte a nuovi interrogativi e a nuove ipotesi su quali possano essere state le mosse successive e gli spostamenti dell’assassino, una volta compiute le sue azioni scellerate. Di certo la zona del ritrovamento è una tipicamente montana caratterizzata da grandi campi incolti e casolari abbandonati, luogo gravido di potenziali nascondigli per chiunque abbia necessità di far perdere le proprie tracce. Un posto che si presenta inoltre lastricato da un’infinità di stradine interpoderali, come un labirinto di percorsi disastrati, che si espandono a raggiera verso tutte le direzioni; da lì un bravo conoscitore del territorio può giungere nell’entroterra vibonese o verso i centri costieri immettendosi, attraverso quel groviglio di stradine secondarie, nelle arterie principali. “Ciko”, con questo nomignolo era conosciuto in paese l’assassino di Giuseppina Mollese e Michele Valerioti, può essersi dato alla fuga a piedi cercando di nascondersi in una di quelle casupole abbandonate, o forse può aver avuto un complice che lo ha aiutato a sfuggire alle ricerche degli uomini dell’Arma. Quel che è certo è che nell’auto il fucile usato per compiere gli omicidi non è stato ritrovato. E’plausibile, dunque, che egli l’abbia portato con sé nella sua latitanza. Resta da chiarire il perché la sua auto sia stata data alla fiamme. Nelle dinamiche criminali, quasi come un rituale, le auto usate per mettere a segno gesti delinquenziali vengono date alle fiamme in genere per nascondere elementi compromettenti, impronte digitali o tracce di sangue. Nel caso in specie, però, chi sia l’assassino non è un segreto per nessuno. Era chiaro alle Forze dell’ordine fin dal primo istante, in quanto lo stesso non ha fatto mistero della sua identità essendosi presentato a volto scoperto nelle case delle sue vittime e davanti al Bar di Limbadi. La Fiat Panda sarà comunque oggetto dei necessari rilievi da parte degli investigatori. Intanto continuano le ricerche di Olivieri, nessuna pista è esclusa, e nessun luogo, assicurano i Carabinieri, resterà privo dei dovuti controlli. L’assassino deve essere consegnato alla giustizia, per le vittime e i loro familiari, e per la cittadinanza nicoterese in preda al comprensibile terrore che Ciko possa rimaterializzarsi dal nulla per condurre a termine il suo proposito di morte.
PARAGRAFO 5.
Nicotera. Ritrovata la famigerata Panda bianca usata da Francesco Olivieri per compiere la sua missione di morte. Era completamente bruciata in una zona montana nei pressi del Monte Poro e del paesino pedemontano di Spilinga, conosciuta come località “Colarizzi”. A fare la scoperta i Carabinieri della Compagnia di Tropea e della Stazione di Spilinga. I militari da venerdì pomeriggio sono alla ricerca del killer. Una poderosa caccia all’uomo condotta senza sosta, anche con l’ausilio dello Squadrone Carabinieri Eliportato Cacciatori Calabria. Una ricerca che finora era rimasta senza esito, fino al pomeriggio di ieri quando gli uomini dell’Arma, nel corso di una perlustrazione della vasta zona di campagna sul versante del Poro, hanno rinvenuto, come precisato, l’automobile usata da Olivieri per effettuare i suoi blitz mortali sfrecciando come una saetta per le vie di un paese atterrito. Il ritrovamento della Fiat Panda e le condizioni con cui è stata ritrovata apre le porte a nuovi interrogativi e a nuove ipotesi su quali possano essere state le mosse successive e gli spostamenti dell’assassino, una volta compiute le sue azioni scellerate. Di certo la zona del ritrovamento è una tipicamente montana caratterizzata da grandi campi incolti e casolari abbandonati, luogo gravido di potenziali nascondigli per chiunque abbia necessità di far perdere le proprie tracce. Un posto che si presenta inoltre lastricato da un’infinità di stradine interpoderali, come un labirinto di percorsi disastrati, che si espandono a raggiera verso tutte le direzioni; da lì un bravo conoscitore del territorio può giungere nell’entroterra vibonese o verso i centri costieri immettendosi, attraverso quel groviglio di stradine secondarie, nelle arterie principali. “Ciko”, con questo nomignolo era conosciuto in paese l’assassino di Giuseppina Mollese e Michele Valerioti, può essersi dato alla fuga a piedi cercando di nascondersi in una di quelle casupole abbandonate, o forse può aver avuto un complice che lo ha aiutato a sfuggire alle ricerche degli uomini dell’Arma. Quel che è certo è che nell’auto il fucile usato per compiere gli omicidi non è stato ritrovato. E’plausibile, dunque, che egli l’abbia portato con sé nella sua latitanza. Resta da chiarire il perché la sua auto sia stata data alla fiamme. Nelle dinamiche criminali, quasi come un rituale, le auto usate per mettere a segno gesti delinquenziali vengono date alle fiamme in genere per nascondere elementi compromettenti, impronte digitali o tracce di sangue. Nel caso in specie, però, chi sia l’assassino non è un segreto per nessuno. Era chiaro alle Forze dell’ordine fin dal primo istante, in quanto lo stesso non ha fatto mistero della sua identità essendosi presentato a volto scoperto nelle case delle sue vittime e davanti al Bar di Limbadi. La Fiat Panda sarà comunque oggetto dei necessari rilievi da parte degli investigatori. Intanto continuano le ricerche di Olivieri, nessuna pista è esclusa, e nessun luogo, assicurano i Carabinieri, resterà privo dei dovuti controlli. L’assassino deve essere consegnato alla giustizia, per le vittime e i loro familiari, e per la cittadinanza nicoterese in preda al comprensibile terrore che Ciko possa rimaterializzarsi dal nulla per condurre a termine il suo proposito di morte.