di Mimmo Tripaldi
Si osservi che parlare di pace è divenuto desueto, oltre che coperto da una certa patina di ridicolo per così dire. Pace-e-amore, peace and love di sessantottina memoria, è un binomio che allude ad una certa rilassatezza morale da “fricchettone” velleitario.

quando le truppe di Putin hanno invaso l’Ucraina
La premessa per introdurre una riflessione sulla guerra in Ucraina, dopo essermi occupato dei fatti storici che ad essa hanno portato. In questo senso rimando ad una mio pezzo apparso sulle colonne di questo giornale (1).
Qualsiasi ragionamento sul tema viene ricondotto, quasi beffardamente, alla diade “aggressore-aggredito”. Cioè, quando si scivola sul piano inclinato del ragionamento, inclinato per alcuni si intende, c’è subito chi, puntualmente, ti rimette sull’attenti facendoti premettere che la Russia ha attaccato l’Ucraina, la qual cosa ci dovrebbe riportare all’esigenza ineludibile di armare il paese aggredito. Ineludibile per chi, ci sarebbe da domandarsi. Ma andiamo con ordine. E’ evidente che così ragionando la conseguenza immediata è che, nell’ordine morale imperante, maggioritario per così dire, le armi abbiano curiosamente soppiantato il termine pace.
In termini schematici potremmo riassumere che le armi sono buone, e in quanto tali le sole capaci di tutelare i valori ritenuti prioritari, e la pace cattiva, da ripudiarsi in ogni modo.

Un bel paradosso, difficile da digerire e da comprendere se non da chi, legittimamente, ritiene che si debba combattere per fornire strumenti alla primazia mondiale americana. Legittimamente a patto di dirlo, chiaramente. Così, oltre alla diade “aggressore-aggredito”, potrebbe e dovrebbe entrare nel dibattito anche la diade, o contrapposizione meglio, “America-Russia” Ciò detto, come altrove chiarito, pace è tutt’altro che un parola da “fricchettone”, e molto poco ha a che fare con l’amore, anche se indubbiamente può esserne fautrice, così come la guerra, talvolta, fonte di passioni (amore e morte vanno a braccetto).

Pace, infatti, deriva dal termine latino “pango”, che significa fisso, stabilisco. In sostanza per raggiungere una interruzione delle operazioni belliche è necessario che un interlocutore in grado di farlo, leggi “forte”, proponga un dialogo teso a fissare delle condizioni accettabili per i contendenti: aree di influenza diretta o indiretta; vere e proprie annessioni; contropartite economiche ecc…
La pace, nel suo dipanarsi concreto è un fatto tecnico, con delle implicazioni economico-giuridiche rilevantissime e che presuppone il riconoscimento di ragioni e, soprattutto, di soggettività internazionale dei dialoganti.

Le uscite del Segretario Nato Stoltenberg sono una esemplificazione di come, fisicamente, il dialogo non sia agibile da alcuno, perché è sottratto il tempo al pensiero di incidere. Non c’è materialmente il tempo, e ciò trascende la singola questione di cui mi occupo ora, affinché le impressioni dei singoli diventino movimento di opinione. Tutto deve essere veloce e destrutturato.
Mi spiego. Il Segretario citato, senza dare conto a nessuno, men che meno al consiglio di nazioni di cui dovrebbe essere portavoce, quando e come lo desidera dice tutto ciò che ritiene opportuno contro la Russia e Putin. E, ovviamente, nessuno dopo lo redarguisce se non qualche, pur autorevole, alto ufficiale che rileva questa contraddizione.
Ovviamente il personaggio in questione è il logoteta, per così dire, degli Usa, come Pier delle Vigne lo fu per Federico II, la cui voce era ritenuta troppo elevata per farsi sentire dai semplici popolani alla corte del re per consiglio o per ascoltare statuizioni sovrane.

e Vladimir Putin, presidente della Federazione russa dal 7 maggio 2012
E non c’è il tempo e l’opportunità per nessuno, si noti bene il passaggio, di pensare altrimenti. O meglio, il mio pensiero, per quanto disarticolato e umile, non riesce a saldarsi, a strutturarsi con il contributo di altri.
Questo è fondamentale, capire questo è capire pressoché tutto. Avere in mano il tempo, scandire il ritmo non solo di ciò che viene detto, ma quando debba essere detto e, soprattutto in quante battute, è la chiave del potere. Oltre le poche righe di un messaggio di Facebook, o del comunicato del politico di turno, c’è un mare che si chiama “ragionamento”, una sorta di racconto dentro il quale la soggettività apparentemente si smarrisce per avere poi una più profonda esaltazione in una libertà ritrovata.
Lo sapeva bene Proust, il grande scrittore francese autore della Recherche, la Ricerca del Tempo perduto, dove il periodare dell’autore è enormemente dilatato e dove ciascuno entra nelle pieghe del bel mondo francese e può sedersi a sorseggiare un tè con Madame de Villelarisis sognando intimamente anche solo di esserne snobbato. E magari riderci un po’ su.
(1) http://contropotere.it/2022/03/16/ucraina-laboratorio-per-interessi-altrui-dopo-la-violazione-dei-patti-non-scritti-tra-nato-e-russia/