Questa è la seconda parte di un’inchiesta sul Porto di Gioia Tauro, curata da Oreste Tarantino, a partire dai suoi esordi, della gestione e delle potenzialità che avrebbero potuto cambiare il destino della Calabria. Cliccate sul link qui sotto per leggere la prima parte:

Angelo Ravano era un “Camallo”, dalle sue parti i portuali vengono così chiamati. All’inizio degli anni 90, il porto di Gioia Tauro gli sembrò un sogno.
Genova era ed è la maggiore città portuale d’Italia. La vocazione alle attività navali arriva da lontano, da quella che fu la più importante Repubblica Marinara. Quasi un millennio di arrivi e partenze di ogni tipologia di imbarcazione: passeggeri, petroli, chimica, rinfusa, traghetti…
Adiacente al porto, c’è l’aeroporto e l’area industriale siderurgica. Insomma, una città costruita intorno a tutte le attività logistiche che, nel corso di centinaia di anni, ha occupato i pochi spazi disponibili, anche perché appena a ridosso della città il territorio si alza, diventa scosceso e non vi sono ulteriori aree pianeggianti.

Nel 1994 gli arrivi di grandi navi portacontainer erano cosa programmata, controllata, ma con l’avvento dell’industrializzazione dell’Estremo Oriente il porto andò immediatamente in sofferenza. Da una grande nave la settimana, si passò ben presto ad una al giorno, e poi a due al giorno…. E tre… I pochi piazzali di stoccaggio dei container si esaurirono, costringendo le navi a lunghe e costose attese, ancorate fuori dal porto. Abbiamo citato Genova, ma tale situazione era diventata impossibile in tutti gli altri porti italiani ed europei.
L’invaso di Gioia Tauro era stato costruito come appendice al V cento siderurgico. Le banchine ad altezza idonea e il fondale piatto lo rendevano immediatamente fruibile senza dover fare importanti opere di adeguamento. Ma la cosa più importante che lo rendeva unico era che, oltre a non avere nessuna città intorno, disponeva viceversa, nel retroterra, di una immensa e pianeggiante area per decine di chilometri quadrati in grado di stoccare centinaia di migliaia, se non milioni, di containers.

L’attività di transhipment, parola coniata per l’occasione, era pronta.
Il ciclo funziona così: la grande nave madre arriva carica dalla Cina, scarica il carico non indispensabile a Gioia Tauro e continua proficuamente la sua rotta verso i mari del Nord, non perdendo prezioso e costoso tempo in lunghe attese.
Successivamente, su navi più piccole dette “Feeder”, gli stessi container pieni vengono trasferiti nei porti di destino delle merci (tipo Genova) a piccoli lotti evitando di intasare i pochi spazi disponibili. Quindi la nave piccola “feeder” lascia a Genova i container pieni e, riparte verso il porto di Gioia Tauro, carica dei containers vuoti che a Genova sono di troppo.
Nel frattempo la nave madre, completata la consegna di tutto il carico in Europa, inizia il viaggio di ritorno verso la Cina. L’ultima tappa, prima di passare il canale di Suez e arrivare nell’Oceano Indiano, la fa proprio a Gioia Tauro, dove completa il carico dei container vuoti da portare in Cina per essere nuovamente riempiti e riiniziare il ciclo.

Gli artigli della ndrangheta sul porto.
In pochissimo tempo, forse meno di un anno, l’attività di terminal container ebbe inizio e, per magia, la prima inchiesta per estorsione denominata “Operazione Porto”. La ndrangheta aveva calcolato la modica spesa di un dollaro e mezzo, il costo da far pagare alla Contship per fare sbarcare un container a Gioia Tauro.
Ben presto, con gli arrivi dei containers, iniziò l’arrivo della droga, delle armi, di ogni altro tipo di attività illegale. Cose quasi di routine, banalità tipiche di ogni porto.
Le inchieste sul porto sono state una costante in questi 25 anni di attività, ma il più delle volte non hanno dimostrato, e soprattutto sentenziato, attività illegali tali per mandare a casa quella casta incompetente che gioca al perfetto marinaio, senza sapere neanche da che parte sta la prua o la poppa di una nave. Hanno invece, questo sì, documentato la totale inadeguatezza della classe politica, dirigente, istituzionale e imprenditoriale calabrese.

Le attività portuali si possono sintetizzare in due tipologie:
1) i servizi e la manutenzione che riguardano la parte fisica del carico e dello scarico dei container.
2) la logistica e il deposito della merce.
Il primo settore di attività è quello di cui non si può fare a meno, la parte pratica, e riguarda il carico e scarico dei container dalle navi.
Le imprese che svolgono questi servizi sono, oltre alla stessa MCT, quelle autorizzate a numero chiuso, dall’Autorità Portuale. In soldoni, poco più 1500 addetti in totale, di cui 1000 alle dipendenze dirette della MCT e altri 500-600 nelle imprese esterne che, però, per la stessa MCT lavorano in subappalto.
Tali attività sono ormai sature e, in futuro, con i miglioramenti tecnologici, saranno destinate a riduzioni dell’occupazione piuttosto che a sviluppi occupazionali. Gli incrementi dei traffici dell’ultimo periodo, che hanno consentito qualche assunzione, poche decine di lavoratori, non deve trarre in inganno, come vedremo infatti, a fronte dell’avvio al lavoro di qualche “rizzatore” di container, decine di addetti nei pochi magazzini logistici e doganali, creati nell’area portuale, hanno perso il posto di lavoro.
Come tenteremo di spiegare, il vero sviluppo di Gioia Tauro parte dalla logistica integrata, eppure nella città portuale, nonostante la centralità geografica mondiale, i piazzali di stoccaggio e immagazzinamento sconfinati, le risorse in termini di finanziamenti europei in grado di coprire tutti i costi, insomma le cose che abbiamo spiegato nella prima parte, nessuna grande impresa di distribuzione ha mai pensato di aprire un semplice ufficio.

Nell’ampio mondo della logistica, delle spedizioni e del trasporto merci in Italia il primo della classe in termini di ricavi è diventato il gruppo toscano Savino Del Bene che, fatturato alla mano, ha superato sia il colosso tedesco Dhl che Bartolini Corriere Espresso.
Lo certifica la consueta classifica dei primi mille operatori di servizi logistici in Italia (edizione 2019) appena pubblicata da Il Giornale della Logistica e basata sui risultati finanziari del 2017.
Il fatturato aggregato di queste mille società è di oltre 36,6 miliardi di euro e l’utile ammonta a 864 milioni. Che il settore sia in crescita lo conferma la soglia dei 50 milioni di fatturato che in questa edizione è stata raggiunta da 135 operatori (un anno prima erano 121), mentre le imprese che fatturano meno di 10 milioni di euro sono 517. La fotografia dei bilanci dice inoltre che le società in perdita sono 140, in netto calo rispetto all’esercizio precedente.
Come precisato, la classifica torna a essere guidata da un gruppo italiano, Savino Del Bene, che ha fatto registrare entrate per 1,48 miliardi di euro e un utile di 33,1 milioni, mentre al secondo posto è scesa la tedesca Dhl che nel nostro paese fattura 1,42 miliardi con un risultato netto positivo di 28,1 milioni. In terza e quarta posizione figurano altre due aziende nostrane: Brt Corriere Espresso, con 1,37 miliardi di fatturato e un utile di 28,6, e l’altoatesina Fercam, con rispettivamente 754 milioni e 7,8 milioni. United Parcel Service Italia (Ups) completa la Top five con entrate complessive per 713 milioni e un risultato positivo di 13,8.
Dalla quinta alla decima posizione figurano le seguenti società: Arcese Trasporti (666 milioni di fatturato e 18,6 di profitto), Dsv (662 e 17,2 milioni), Schenker Italiana (631 e 7,6 milioni), Kuehne Nagel (622 e 12,2 milioni) e Bcube (602 e 14,6 milioni).
Dall’undicesima alla ventesima posizione in classifica ci sono poi Sda Express Courier (532 milioni di fatturato), Havi Logistics (481 milioni), Gls Italy (472 milioni), Jas (464 milioni), Geodis (403 milioni), Transmec (397 milioni), Ceva Logistics Italia (385 milioni), Contship Italia (342 milioni), Italsempione (322 milioni) e S.D.M. Società distributrice merci (296 milioni).

Ebbene, in qualunque porto d’Italia, anche il più scalcinato, voi troverete una sede logistica di queste società. Ma non è così per il maggiore porto container del Mediterraneo. Questo avviene perché ai padroni e signori delle merci, ovvero le società di spedizioni, i miseri scatoloni di latta vuoti detti containers, a cui il porto di Gioia Tauro è destinato, non interessano e non sanno che farsene.
(2-Continua)
Oreste Tarantino