Nicotera. C’è voluto un servizio del Tg3 a far svegliare dal torpore soporifero l’istituzione comunale e i politici nicoteresi nei confronti della vicenda giudiziaria in merito a Carmine Zappia, il coraggioso imprenditore che ha avuto il coraggio di denunciare i suoi estorsori, nello specifico il boss Antonio Mancuso e il nipote Alfonso Cicerone.Il clamoroso arresto dei due, nelle primissime ore della mattinata del 18 luglio, è stato indubbiamente oggetto di discussione, ma all’interno dei bar, sottovoce, nei soliti capannelli di commentatori guardinghi e assai prudenti nel pronunciare certi nomi. Ancora una volta le istituzioni e la politica cittadina hanno taciuto, così come hanno taciuto le tante associazioni che insistono sul territorio (ad eccezion fatta dell’associazione Kreonte, nata in difesa della legalità). Un copione già visto e che getta sulla città un manto di omertà. Un silenzio che espone Nicotera al ludibrio nazionale, cagionandole danni di immagine incalcolabili, perché crea un pericoloso parallelismo tra un cittadino nicoterese perbene e un boss o un faccendiere della mafia. La città, infatti, viene additata come “connivente” o “omertosa” perché questo è lo stigma fatalmente prodotto dal silenzio e dalla mancata reazione di politica e associazioni. Il Comune, infatti, nella persona del sindaco Giuseppe Marasco, ha il preciso dovere di rappresentare la città, di tutelarne l’immagine, schierandosi senza timidezza o tentennamenti dalla parte della legalità. Ha il compito di rappresentarla non solo in sede politica o istituzionale, ma anche in sede giudiziaria. Sarebbe doveroso, infatti, da parte dell’ente, costituirsi parte civile nei processi contro i Mancuso, marcarne le distanze con fermezza. Qualora non lo facesse si metterebbe sullo stesso piano di chi esercita l’omertà, notoriamente linfa vitale delle mafie. Ma purtroppo, dovere di cronaca ci induce a sottolineare che troppe volte il silenzio nei confronti di precisi eventi di stampo mafioso ha caratterizzato gli esecutivi passati, sia politici che commissariali. Amministrare Nicotera non è semplice. Non è certo come amministrare un comune in provincia di Aosta o qualche amena località del bolzanino. Nicotera è un paese colonizzato dalle cosche, irretito e controllato. Chi pretende di varcare la soglia di palazzo Convento per amministrarla ne deve essere ben cosciente e non può trincerarsi dietro atteggiamenti velati di incertezza. Il fatto che il prefetto abbia stigmatizzato l’isolamento in cui è stato lasciato Carmine Zappia, ed anche il fatto che lo stesso imprenditore abbia sottolineato la sua solitudine e l’assenza di vicinanza da parte delle istituzioni cittadine ha sortito qualche segno di vita. Reazioni postume che vorrebbero cancellare il lungo e imbarazzante silenzio dei giorni scorsi. Il sindaco ha così deciso di inserire nell’ordine del giorno del consiglio di oggi dedicato, tra le altre cose, alla solidarietà all’assessore Marco Vecchio, aggredito da un pensionato non certo in odor di mafia, anche la solidarietà all’imprenditore: una determinazione che ha l’aria di un’azione tardiva e riparatrice. Una situazione, insomma, specchio di un contesto oppresso e incapace di alzare la testa, in cui l’omertà si è fatta pervasiva ma è speculare a un sistema di cose che non garantisce tutela e sicurezza ai cittadini, come ad esempio la chiusura della caserma dei Carabinieri alle ore 17 e il suo mancato potenziamento in termini di unità, o l’assenza della video sorveglianza. Il senso di insicurezza e di paura continua a dare i suoi frutti velenosi.

Nicotera. «Dai provvedimenti di queste ore a carico di due esponenti del clan Mancuso, emerge ancora una volta un quadro estremamente preoccupante». Così Francesco Tripaldi ed Enza Dell’Acqua, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’associazione Kreonte. «Chiunque operi in questo territorio, -proseguono- tanto in ambito economico quanto in quello dell’associazionismo e del volontariato, parte con un enorme svantaggio. Il rischio di subire atti estorsivi è elevatissimo, molto vicino al 100 percento. Per questo desideriamo esprimere senza esitazioni la nostra solidarietà nei confronti delle vittime dei gravi fatti evidenziati in queste ore dagli inquirenti». Un territorio a rischio di desertificazione, per i membri del sodalizio che opera a difesa della legalità nel comprensorio nicoterese: «Si è creata –dichiarano- una situazione decisamente allarmante, che pone i cittadini di fronte all’impossibilità di vivere nel territorio, se non a patto di rinunciare ad elementari prerogative. Usufruire degli spazi pubblici è diventato estremamente difficile. Per anni anche i semplici festeggiamenti natalizi o di Carnevale sono stati un momento in cui molti hanno corso gravi pericoli, spesso senza incontrare un’adeguata risposta istituzionale. Che ora pare esserci, e molto decisa. Passeggiare di sera anche attualmente non è un comportamento del tutto esente da rischi. E’ evidente che la criminalità ha conquistato anche una leadership culturale, tra i più giovani soprattutto. Bisogna avere il coraggio di riprogettare un futuro diverso: «Il combinato disposto –sottolineano dall’associazione Kreonte- dell’assenza di un progetto politico serio per il meridione e di una risposta giudiziaria all’altezza, almeno sino ad oggi, ha creato un autentico vuoto che va colmato con idee concrete. La pedagogia antimafia va accompagnata con un sostegno serio ed individuale alle iniziative dei tanti liberi cittadini che possono tornare a ricostruire Nicotera nel suo antico splendore, civile oltre che paesaggistico».
Nicotera. Un consiglio comunale, quello di ieri, che ha visto seduto tra gli scranni consiliari anche Carmine Zappia, l’imprenditore al centro della nota vicenda giudiziaria che ha portato in carcere il boss Antonio Mancuso e Alfonso Cicerone. Zappia è stato invitato dal sindaco a presiedere la civica assise, nella giornata di ieri, dopo che l’onda mediatica della notizia ha stanato dal silenzio sindaco, assessori e consiglieri bipartisan, che, prima di allora avevano taciuto su questa terribile storia di usura ed estorsione. Giuseppe Marasco, nel prendere la parola, ha espresso immediatamente vicinanza all’imprenditore, tentando nel contempo di trovare una valida giustificazione a quell’involucro di silenzio in cui l’amministrazione si è chiusa. «Non abbiamo inquadrato subito la situazione- ha detto il sindaco- anche perché non era chiaro chi fosse la persona in questione». Ma quando, ha sottolineato il primo cittadino, «io e l’ingegnere D’Agostino, che ci trovavamo a San Ferdinando per il tavolo tecnico sul mare, abbiamo preso contezza della vicenda abbiamo deciso si esprimere solidarietà all’imprenditore». L’obiettivo era quello di inserire nel consiglio indetto per ieri, lo scorso 18 luglio, una mozione di solidarietà per Zappia, accanto a quella riservata a tamburo battente per Marco Vecchio, spintonato in via Castello da un pensionato. Tra una standing ovation e l’altra, rivolte con foga dai consiglieri, il sindaco ha professato il “mea culpa” per la sua tardiva solidarietà: «la nostra volontà è quella di schierarci con Carmine Zappia, alcune parole lette sugli organi stampa mi hanno fatto restare male, perché l’amministrazione non vuole girarsi dall’altra parte».«Forse- ha detto- non siamo stati molto tempestivi, forse era un passaggio che andava fatto immediatamente, ma non è stato per ignavia, non siamo stati dei codardi, semplicemente pensavamo che il passaggio fatto in consiglio comunale fosse più rilevante». Nella mozione letta dal sindaco, e poi approvata dall’intero consiglio, vi è anche un’integrazione proposta dal gruppo consiliare “Cambiavento” e accettata dalla maggioranza e dal consigliere Antonio Macrì. E cioè: «di recarsi quanto prima ad esprimere personalmente la propria vicinanza ed apprezzamento a Carmine Zappia e di costituirsi parte civile nel processo che dovesse essere instaurato schierandosi a fianco della parte offesa anche in giudizio».
E poi seguita la solidarietà anche a Marco Vecchio.
Nicotera. Doveva restare chiuso solo per una ventina di giorni, il tabacchi di Carmine Zappia, vittima di usura, che con la sua coraggiosa denuncia ha fatto scattare le manette ai polsi ai suoi estorsori. A finire in galera il 18 luglio scorso, l’81enne Antonio Mancuso, esponente dell’omonimo clan, il nipote Alfonso Cicerone, 45 anni. Ai domiciliari Francesco D’Ambrosio, 39 anni e Giuseppe Cicerone, 88. Rimangono, invece, indagati a piede libero, Salvatore Gurzì, Andrea Campisi e Rocco D’Amico, tutti di Nicotera.
Anni di vessazioni e ricatti hanno condotto Carmine Zappia sul lastrico, senza più un soldo per poter pagare i fornitori. I continui pagamenti ai suoi estorsori l’hanno condotto al tracollo finanziario e alla disperazione. Ormai allo stremo ha deciso di denunciarli. Con l’arresto dei responsabili, Carmine ha tirato un respiro di sollievo, perché le minacce e le richieste di pagamento erano all’ordine del giorno. Tuttavia, restavano le macerie di una storia bruttissima di strozzinaggio, l’animo a pezzi e le tasche vuote. E così il 16 di agosto l’imprenditore è stato costretto a chiudere la sua attività in via Santa Croce. La mancanza di soldi non gli permetteva di pagare i fornitori. Tuttavia, aveva precisato in quell’occasione, si trattava di una breve pausa, circa una ventina di giorni, i tempi tecnici per l’erogazione del ristoro da parte del Fondo di solidarietà per le vittime di racket e usura del Ministero dell’Intero. Così Carmine sperava: che in una ventina di giorni potesse ottenere l’aiuto sperato. Ma i tempi, purtroppo, si sono dilatati a dismisura. «Ogni giorno- ha detto l’imprenditore- spero che sia quello giusto, quello in cui potrò mettere fine a questa pausa forzata e riaprire la mia attività». «I miei giorni- ha aggiunto- passano nell’attesa che arrivi una svolta». Eppure dalla Prefettura di Vibo tutto è stato fatto per accedere al Fondo di solidarietà, anzi, Carmine tiene a precisare che il prefetto di Vibo, Francesco Zito, si è mosso con grande solerzia per garantire una rapida soluzione delle cose. Non solo, il rappresentante governativo mostra e continua a mostrare all’imprenditore taglieggiato sostegno e vicinanza. Le lungaggini, a quanto pare, si stanno consumando a Roma. Ad ottobre Carmine aveva dato una sistemata al locale della sua attività. Sperava di poter riaprire ai primi di novembre, ma niente di fatto; l’attesa continua. Carmine è una persona di poche parole, che ha trovato la forza, in completa solitudine, di denunciare i suoi persecutori. I suoi familiari, infatti, come essi stessi hanno rivelato al Quotidiano, ignoravano il dramma che il loro congiunto stava vivendo, perché egli non voleva dargli preoccupazione. Gli imprenditori, i commercianti, chiunque finisca nelle grinfie dell’usura e della ndrangheta e trova il coraggio di denunciare e fare arrestare i responsabili deve essere aiutato dallo Stato, celermente, abbattendo quei biblici tempi burocratici: non solo per l’imprenditore che deve rialzarsi dalla rovina, ma anche per mandare un messaggio di speranza a tutte le vittime, per invitarle a denunciare, perché conviene sempre, perché lo Stato c’è.