di Oreste Tarantino- La prova regina che incastrò Bettino Craxi e che, successivamente, lo costrinse ad una vita di latitante in Tunisia, fu fornita al trionfante Antonio Di Pietro dal faccendiere Sergio Cusani, il quale ammise e diede prova della creazione di un fondo nero in una banca lussemburghese in totale disponibilità del segretario del PSI, che ammontava a 7 miliardi di lire (3,5 milioni di euro).
Cosa ci facesse Craxi con quei soldi non si sa di preciso, certo è che per il valore delle mazzette politiche di allora si trattava di poca roba, ma tanto bastò per rendere inappellabile il giudizio penale di condanna.
Negli anni ‘70 e ‘80, i partiti italiani erano una cosa tosta, sia quelli del pentapartito al governo (DC, PSI, PSDI, PRI, PLI), sia quelli all’opposizione MSI a destra e PCI a sinistra. Tali partiti erano presenti capillarmente in tutti i comuni d’Italia, e nei comuni più grandi avevano più sezioni, nelle città addirittura avevano sedi in ogni quartiere. Quelle sedi rappresentavano il midollo di ogni ideologia, la palestra di base dove ogni cittadino poteva abbracciare la politica e, magari, costruire la propria carriera dirigenziale di partito prima e parlamentare dopo.
Partiti così strutturati dovevano, per forza di cose, disporre di ingenti quantità di denaro per il mantenimento. Come se lo procurassero è cosa nota, ma è anche abbastanza noto che il più delle volte venisse speso per le attività del partito. Finchè non arrivò Di Pietro e l’immarcescibile pool di Milano dalle Mani che più bianco non si può.
Per i partiti italiani non ci fu scampo, o almeno per tutti tranne che per il PCI.
Eppure lo stesso accusatore principe ha ammesso più volte che il Partito Comunista fosse quello più corrotto e quello dove entravano più soldi a sbafo di tutti gli altri, però, nonostante ciò, non ha mai capito perché le inchieste che riguardavano via Botteghe Oscure si arenassero senza andare avanti. Sic!!!
Nel 1992, un referendum proposto dai radicali abolisce la Legge sul finanziamento pubblico ai partiti come era concepita, ma la politica corre ai ripari, e la sostituisce con la formula dei rimborsi elettorali.
Nell’arco di una legislatura lo Stato elargisce ai partiti più di un miliardo a titolo di rimborso di spese elettorali. In che modo si arriva a questa cifra? Ogni volta che si tiene un’elezione viene istituito un fondo annuo, calcolato moltiplicando il numero degli elettori potenziali alla Camera (circa 50 milioni di persone) per un euro, arrivando a un totale di 50 milioni di euro.
Questo meccanismo funziona per ciascuna delle elezioni alla Camera, al Senato, europee e regionali. Quindi la cifra di 50 milioni di euro va moltiplicata per quattro, portando l’esborso oltre i 200 milioni di euro l’anno. Questo avviene per cinque anni, lievitando la spesa dello Stato, sull’arco di una legislatura canonica, a 1 miliardo di euro.
Ciascun fondo viene ripartito in modo proporzionale tra i partiti che hanno partecipato alle elezioni ottenendo almeno l’un per cento dei voti.
L’Italia dei Valori, partito fondato da Di Pietro e di cui è stato leader dal 2000 al 2014, ha avuto da questo meccanismo di ripartizione all’incirca 100 milioni di euro di rimborsi.
L’IDV era un partito formato sul nuovo modello dell’era moderna, nessuna sede, nessuna spesa, senza fotocopiatrici né ciclostilati, niente bollette da pagare, nessun dipendente. con i candidati decisi dall’alto e senza contatto con il mondo terreno, ma con molti, tanti soldi in più rispetto ai corrotti partiti che il leader dalle mani pulite aveva smantellato con la sua crociata giudiziaria.
La cosa viene passata al microscopio da una puntata di Report di Milena Gabanelli qualche anno fa. L’inviata Sabrina Giannini setaccia i segreti dei Valori portati dall’ex paladino anticorruzione e scopre che l’associazione che gestisce i soldi del partito viene fondata nel 2000 e per nove anni, ricorda la Giannini, è composta dallo stesso Di Pietro, Pasquale Di Domenico e Silvana Mura.
La Giannini annota le cifre gestite dall’IDV dove i tesserati non fanno parte dell’associazione che gestisce la cassa e nella quale si entra solo con la firma davanti al notaio.
Guarda caso, il giorno dopo l’ingresso della moglie di Di Pietro nella società, è il 2004, la Camera approva il piano di ripartizione dei rimborsi elettorali e arrivano circa 5 milioni di fondi. Come si vede dal verbale di riunione il rendiconto sarà approvato, anzi auto-approvato, l’anno successivo dal solo Di Pietro. L’unico presente. L’associazione gestisce 50 milioni euro fino al 2009, quando compare il nuovo statuto.
Poi si passa alle proprietà immobiliari di Di Pietro, cresciute esponenzialmente negli anni.
Report chiede un parere a un geometra che, per conto di Elio Veltri, ex vicepresidente dell’Idv, ha catalogato e stimato gli immobili e le proprietà della famiglia dell’ex pm: “Escludendo da questa lista le 9 proprietà della moglie e le 2 del figlio maggiore, ne restano 45 comprese di garage e cantine”.
Spiega il geometra D’Andrea: “Abbiamo una movimentazione economica del 33% dal 1995 al 2001 e dal 2002 al 2009 che arriva al 67%, prima dei rimborsi elettorali e dopo i rimborsi elettorali, entrambe al netto delle vendite. Dopo il 2001 la famiglia inizia ad acquistare beni”. Nel 1995, racconta la Giannini, Maria Virginia Borletti, figlia del produttore milanese di macchine da cucire, decide di donare a Di Pietro e Romano Prodi una parte dell’eredità, quasi un miliardo di lire (che per l’ex pm non sono più di 500 milioni): “Eppure è lo stesso Di Pietro, nella nota memoria consegnata al magistrato, a dichiarare di avere usato la donazione Borletti per l’acquisto di immobili”. E lui ammette: “Certo che la parte che mi ha dato in donazione l’ho usata personalmente”. La giornalista insiste: “Solo a lei?”. E Di Pietro: “E certo che me l’ha data a livello personale”.
Ora, fatte le dovute analisi, quando Di Pietro parla di Mani Pulite lo fa con l’orgoglio in mano, e quando si nomina Bettino Craxi al Travaglio di turno, piuttosto che al semplice votante del PD ancora convinto che le monetine lanciate contro il segretario dei socialisti erano cosa sacrosanta, ebbene sembra che finalmente l’Italia sia diventato uno specchiato paradiso di trasparenza e moralità.
Personalmente ritengo, invece, che l’Italia degli anni Ottanta fosse un paese meraviglioso mentre oggi è diventato un incubo.