di Oreste Tarantino-
Il teatrino delle colpe su chi ha firmato o meno il MES, 10 anni fa, sta stancando.
Si cerca di spostare l’attenzione- il nocciolo del problema- in un’area di confronto meno pericolosa per gli umori dell’opinione pubblica.
A mio modesto avviso, l’Italia sta per essere svenduta patrimonialmente, completando l’opera di distruzione economica iniziata con le privatizzazioni degli anni 90.
Faccio questa profezia il giorno di pasquetta del 2020, e sono sicuro che, presto o tardi, il tempo mi darà ragione.
E’ come se un’industria svendesse i macchinari, cessando così la produzione, e dopo aver dilapidato i proventi delle vendite, cercasse di capitalizzare al meglio la vendita della struttura.
La capacità produttiva italiana è cessata, di fatto, con la liquidazione dell’IRI.
Essendo una proprietà dello Stato, e pertanto non dovendo rincorrere spasmodicamente gli utili, come nell’attività primaria delle imprese private, l’IRI ha sopperito, nel corso di 70 anni di storia imprenditoriale, alla mancanza di grandi industriali privati (che in Italia non abbiamo mai avuto), trainando tutti i settori high tech nell’ambito della ricerca e della innovazione.
Infatti, la piccola e media impresa, fiore all’occhiello della produttività nazionale e del “made in Italy”, non può avere la capacità di investimento nella ricerca di una “superholding” come era classificata l’IRI, ovvero la quarta società al mondo per volume d’affari e prima per patrimonializzazione. La prima al di fuori degli Stati Uniti.
Il volume degli investimenti che l’IRI disponeva annualmente nella ricerca era una somma gigantesca che, normalmente ben utilizzato, a cascata, serviva anche ai settori privati delle piccole imprese che beneficiavano di tali innovazioni.
Mancando completamente di tale opportunità, le piccole e medie imprese, all’inizio del 2000, non si sono più potute cimentare in quei settori industriali di alto contenuto tecnologico come la Germania, ma in quelle con bassa tecnologia in concorrenza con i paesi dell’est Europa ed estremo oriente. Naturalmente, l’effetto di trascinamento di tale situazione si è riflesso sui salari e le condizioni sociali dei lavoratori che, prima con l’IRI erano elevatissimi, poi sono diventati via via come quelli, precari e senza valore di esperienza, del terzo mondo.
Oggi possiamo sintetizzare e creare un parallelismo, con il MES e le ripercussioni economiche sull’Italia e gli effetti del coronavirus in un corpo che, oltre essere già malato, vecchio e senza forze, conserva gli eccessi, i vizi, e la strafottenza di una classe politica di scavezzacolli.
Noi siamo una grande nazione, la culla della cultura moderna, abbiamo fatto la storia della storia; viviamo in un territorio unico al mondo dove tutti vorrebbero venire a vivere, pure i marziani; abbiamo sempre fatto tesoro dei nostri errori, e pure durante i periodi più bui siamo stati in grado di distinguerci dal resto del mondo.
Avevamo creato un sistema produttivo integrato “pubblico/privato”, che ci aveva permesso di diventare la quarta-quinta potenza industriale del pianeta, esperienza che oggi, se riprodotta magari senza gli errori clientelari e di corruzione del passato, potrebbe essere il più efficace antivirus turbo-capitalista esistente e, dunque, ritornare a vivere serenamente, come negli anni del boom economico.
Pertanto, ritengo che la disputa “se MES o coronabond” sia un falso problema, un inganno per boccaloni che serve a spostare l’attenzione, e allontanare l’opinione pubblica dalla reale soluzione.
La sovranità nazionale non dipende da una banconota o da un “pagherò”, che rimane una semplice regola di scambio commerciale più o meno garantita.
Rimpossessarsi della sovranità significa ritornare alla nostra storia, ai nostri valori, alla nostra cultura, arte e saper fare… che, con tutto il rispetto per l’Europa dei Monti e dei Draghi, ne abbiamo da regalare.