di Pasquale Muzzupappa- Da sempre il lavoro rappresenta il perno su cui ogni società si costituisce e costruisce il suo “logos”, sia essa antica o moderna o che sia individuabile nelle sue varianti culturali, economiche, storiche; la differenza nei secoli è stata la qualità più che la quantità di questo logos. Se nella civiltà occidentale, quella a cui apparteniamo per identità storico, geografica, culturale, che poggia le sue basi nella cultura greco romana e giudaico cristiana, il logos ha avuto almeno due assi portanti: 1. Conosci te stesso; 2. Il contributo dell’Uomo al compimento dell’opera divina: “Dio si riposò il settimo giorno e lo santificò (Genesi 2,2); da queste basi si evince anche che il lavoro acquisisce sia un carattere sacro sia un processo epifanico di autocoscienza, attraverso la capacità di incidere sul reale, di trarre forza, significato, soddisfazione, alimento da quello che l’Uomo stesso è in grado di fare e di produrre.
Ma due grossi pericoli hanno insidiato il cammino di autoconoscenza umana. Nello sforzo di dare un significato e una direzione profonda alla propria esistenza, percepita come un mistero, si sono susseguiti miti e leggende, si sono fondate religioni, filosofie, drammi (si pensi alla tragedia greca); l’uomo è sempre stato guidato da due forze opposte, quelle che poi Freud avrebbe chiamato Eros e Thanatos, vita e morte. L’eros tende al piacere e all’aggregazione delle strutture viventi; thanatos, alla disgregazione, alla distruzione e alla morte. Nel bisogno impellente di trascendere la propria natura mortale e animale, l’Uomo si è divinizzato: I faraoni, i re , gli imperatori dell’Antichità il processo di autocoscienza era giunto allo stadio per cui si credeva che uomini forti e potenti che guidavano il popolo fossero Dei essi stessi, o semidei nominati d’imperio dagli dei rappresentanti di Dio (mondo ebraico) e in loro nome si poteva conquistare e distruggere, assoggettare interi popoli(e quindi godere dei benefici della vita=eros; distruggere la vita degli infedeli= thanatos)) e perciò erigere templi con il lavoro degli schiavi e dei paria delle varie epoche storiche. Ma perfino nelle peggiori condizioni in cui alcune società erano costruite, il mondo di riferimento aveva una sua certa coesione, era dotata di logos(senso) e il lavoro era visto come un dovere verso Dio e la società, l’individuo traeva beneficio e identità dal suo lavoro e dal posto che ricopriva nella società, foss’anche la società chiusa del Medioevo; in questo tipo di società, oggi particolarmente deriso, persino lo schiavo aveva comunque pane e un tetto dove ripararsi.
Con la riscoperta e lettura del mondo antico, sul finire del Medioevo l’umanità riscopre il senso del limite umano e le sue potenzialità spirituali. Il fine ontologico filosofico muta: l’uomo non è più l’essere indegno bisognoso solo di essere perdonato perché cattivo per natura, il custode del giardino dell’Eden, un ideale che darà i suoi pieni frutti col Cinquecento italiano. L’uomo in contatto con Dio (Umanesimo), uomo divinizzato, ma con riferimento a Dio (Rinascimento).
La situazione muta definitivamente con l’avvento della società industriale. Mentre prima l’uomo si identificava con Dio e/o con gli dei direttamente: mondo antico con i Faraoni, oppure gli dei del mondo greco/romano; il Dio ebraico di Abramo e Mosè; con l’affermarsi della scienza e del mondo delle macchine, l’Uomo gradualmente cessa di interrogarsi sul fine dell’esistenza umana e sposa l’idea che è l’homo faber, l’uomo che costruisce, lavora , compie le opere, incide direttamente sulla realtà, il vero artefice della propria vita, questa espressione della società affluente della borghesia, che soppianterà la casta della nobiltà, riesce ad imporre la sua visione a cui tutti gli altri devono sottostare. Questo stato di cose porta alla costruzione di sistemi economici sempre più complessi e il mondo del lavoro diventa col passare del tempo sempre più alienato ed astratto. Muta di segno la domanda centrale, da: “Che cos’è più importante per l’Uomo?” a “Che cos’è più importante per lo sviluppo del sistema?” La differenza è sostanziale: l’uomo stesso si autoesclude dalla propria consapevolezza e proietta all’esterno, sulle cose, gli oggetti, la tecnica e la scienza soprattutto, il senso del proprio vivere e divenire; formalmente è sempre la religione il Centro del suo universo di riferimento ma, in pratica, Dio viene con fatica, ma sistematicamente, estromesso dalle dinamiche storiche principali; le due guerre mondiali, gli ordigni in grado di distruggere il mondo in pochi minuti ogni forma di vita sulla Terra stanno lì a dimostrare come la necrofilia (amore per la morte, versione più completa dell’istinto di morte, del Thanatos di cui parlava Freud) si sia impossessata dell’agire delle élites neocapitalistiche, che hanno smesso di credere nei valori universali, professando un nichilismo distruttivo che si esprime nel consumismo coatto, nella capacità di sfruttare e controllare miliardi di esseri umani col denaro, la pubblicità e il controllo. Si predica e si esalta il presente come unico aspetto ontologico del vivere e del prodotto che si proietta all’infinito nelle sue molteplici varianti. Lo stesso lavoro diventa sempre più robotizzato, immateriale, indefinito: stanno cadendo gli steccati tra tempo del lavoro e tempo privato degli affetti domestici e del tempo libero (smart working, telelavoro): il privato diventa pubblico e il pubblico si privatizza in una sorta di kafkiano rovesciamento delle simbologie esistenziali del postmoderno.
Se esiste ancora una speranza per il genere umano per evitare la catastrofe , esistenziale, culturale, psicologica, spirituale consiste in quella riappropriazione del senso unitario dell’Umano e della natura, quel panteismo a cui Spinoza aveva dato un contributo importante nell’Ethica: Dio sive Natura, Dio ossia la Natura: nessuna separazione tra Dio e la Natura, per cui mi azzardo a dare un senso alla domanda di Gesù: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Dio non risponde perché è dentro di Lui e muore pure lui e poi risorge.